C’è sempre qualcosa che non va. Qualcosa che ha tanti nomi propri e comuni e quindi non ha un vero nome, qualcosa che si infila tra le linee e che salta la fila e gli si para davanti dandogli le spalle, senza guardarlo e senza riguardo. Eddy Baggio è sempre rimasto lì, in avanti ma mai al primo posto, mezzapunta dell’esistenza, sempre indietro a guardare la schiena del giovane centravanti, del campione, del capocannoniere di provincia, di un’altra mezzapunta mestierante che tirò con gli occhi chiusi e persino di un cane, pastore tedesco dal pedigree più puro del suo.
Eddy Baggio è secondo nel suo nome dietro un ciclista belga che quel nome nemmeno lo considerava, perché era il cannibale. Eddy Baggio è secondo nel suo cognome dietro un calciatore che quel cognome lo ha barattato per un soprannome mistico e insieme pacchiano, il divin codino. Nei momenti più alti della sua carriera Eddy Baggio è stato al massimo il secondo, il primo escluso della ribalta vicina ma che non arriva mai.
Difficile individuare cause e addossare colpe, come capire dove comincia e dove finisce la storia. Le tracce recuperabili ci riportano all’11 ottobre del 1992, a un soleggiato primo pomeriggio fiorentino. Allo stadio Artemio Franchi la nazionale italiana guidata da Arrigo Sacchi e impreziosita da Roberto Baggio (ma quel giorno anche e soprattutto da Gigi Lentini) gioca un’amichevole contro la primavera della Fiorentina. Gli azzurri segnano sei gol preoccupandosi di non strafare. I giovani viola riescono a battere Marcheggiani soltanto una volta, nel primo tempo. Un gol abbastanza inutile, come del resto tutta la partita. Ma forse, l’avesse segnato il diciottenne Eddy Baggio, quel gol avrebbe avuto un po’ di senso. Magari avrebbe ispirato un titolo (o anche solo una frase) a qualche giornalista svogliato, qualcosa come “Baggio contro Baggio, un gol a testa”, o meglio ancora “Baggio junior difende l’onore della Fiorentina”. E invece Eddy, di cui nelle immagini si intravedono i capelli gonfi e le movenze ancora sgraziate, quel gol lo regala a tale Giraldi Daniele, centravanti di poche speranze che poco dopo esordirà in Serie A, dove in tutto giocherà due partite, senza gol.
Eddy Baggio, il secondo Baggio, Baggino, invece in Serie A non ci giocherà mai. Ci arriverà sempre vicino ma solo a parole e trattative di mercato, e alla fine verrà regolarmente scavalcato, scartato. Ignorato mai, perché nei successivi vent’anni di lui si parlerà spesso. Per il cognome, certo, ma anche per le belle speranze che piano piano diventeranno promesse non mantenute. Nel 1993, un anno dopo la partita amichevole contro la nazionale del codino, il suo nome riemerge addirittura sul Corriere della sera, che lo elogia per la sua prontezza di spirito. Ma anche qui la ribalta non è sua, e tra l’altro non siamo nemmeno su un campo di calcio. Il contorno è una lussuosa villa di Caldogno e l’eroe del giorno non è Eddy lo scaltro e nemmeno Roberto l’assente. È un cane, pastore tedesco, come chiarisce il titolo a caratteri cubitali: “Il cane Rocky sventa un furto a villa Baggio”. Poi, in piccolo, il complimento al calciatore delle giovanili della Fiorentina, che non ha abboccato alla finta dei ladri e ha sguinzagliato il quadrupede. Da quella prova di lucidità e sangue freddo alla prima squadra della Fiorentina il passo è lungo, troppo lungo, e infatti in campionato Eddy non gioca nemmeno un minuto nonostante la squadra stia provvisoriamente bazzicando il purgatorio della Serie B.
Nel 1994 arrivano le prime partite nel calcio professionistico e i primi gol, nel Palazzolo, in serie C1. Durante la stagione la stampa ci ricorda in più di un’occasione che nello stesso girone, nelle fila dell’Ospitaletto, gioca anche il cugino (suo e di Roberto) Diego Virile. Il bilancio degli scontri tra Eddy e Diego sorride al secondo, con un pareggio e una vittoria. A fine anno la gerarchia si riflette anche nella classifica finale, che sancisce la retrocessione di entrambi: Eddy ultimo con appena 12 punti, Diego penultimo e punito dall’orrore dei playout persi contro la Pro Sesto.
Per Eddy Baggio comincia così una carriera modesta, segnata dai campi infami delle serie minori e dagli incisi negli articoli dedicati al fratello campione. Nel giugno del 1995 Roberto è al centro dell’attenzione per il suo imminente addio alla Juventus. Il codino è vicino al Milan, e qualcuno trova il tempo e il modo di paragonare la sua condizione a quella di Eddy, senza squadra e vittima di un contenzioso tra il Palazzolo e la Fiorentina. “Cerco squadra, siamo una famiglia di disperati” dichiara il ragazzo a un giornalista presentatosi davanti ai cancelli della villa, non certo per intervistare lui.
Alla fine Eddy approda al Prato dopo una lunga trattativa sul compenso annuale (Baggio chiede 40 milioni, il Prato offre 30, i giornali non perdono l’occasione di stampare impietose allusioni alle cifre ben diverse che girano attorno al fratello) ma gioca poco e male. A gennaio passa al Giorgione, in C2, dove gioca e segna prima di salire nuovamente di categoria, indossare per un anno la maglia dell’Ancona e confermarsi su buoni livelli realizzativi.
Il 1999 è l’anno della svolta. Ancora una volta comincia tutto con le parole, che precedono e coprono il calcio di provincia fino a renderlo insignificante, quasi invisibile. Il tredici agosto, dieci giorni prima del suo venticinquesimo compleanno, Eddy legge sulla Gazzetta dello Sport un titolo interamente dedicato a lui. Ma l’articolo, nel maldestro tentativo di raccontare la storia di una rivalsa, letto oggi sembra una mannaia: “Baggino”, “Cosa si prova a essere il fratello di Robi?”, “Non dev’essere facile essere paragonato a uno dei più forti attaccanti del mondo”, “Non si spendono oltre due miliardi per un cognome”, “Faceva notizia soltanto perché era il fratello”, “L’ombra di Robi”.
L’estate e le parole passano in fretta. Eddy è ancora giovane e crede nel suo talento, quel nome così pesante è ancora una promessa incoraggiante. Arriva il momento di scendere in campo, di correre e di segnare. Nell’Ascoli delle grandi ambizioni Eddy Baggio gioca la migliore stagione della sua carriera. Presto si invola solitario in testa alla classifica marcatori, trascinando la squadra e spazzando via ogni dubbio sulle sue capacità. Con l’avvento della primavera finisce addirittura al centro di precoci trattative di mercato, ma quando la tavola sembra apparecchiata per un finale di stagione trionfale, arriva l’infortunio al ginocchio. Niente di grave, ma Baggio è costretto a saltare molte partite. L’Ascoli intanto perde contatto con la speranza di una promozione diretta ed Eddy perde la testa della classifica cannonieri. Rientrerà soltanto per i playoff, quando il crotonese Andrea Deflorio gli ha ormai strappato la vetta della classifica generale e soprattutto lo scettro dei bomber, segnando 28 gol e stabilendo un record per la serie C1 che resiste ancora oggi. A Eddy, secondo e fermo a quota 22 reti, non resterà che un ultimo, grande momento. L’11 giugno, sul neutro di Perugia, si gioca la finalissima dei playoff tra Ascoli e Ancona, tra il presente e il passato di Baggio. A un minuto dalla fine del primo tempo supplementare Eddy segna un gol da campione, in mezza rovesciata sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Si scaraventa sotto la curva, la sua gioia è irrefrenabile. È il momento che ha aspettato per tutta la vita, è la rovesciata che lo lancerà verso la Serie B, la Serie A e la Nazionale, una rovesciata di quelle che Roberto non ha mai fatto, sotto una curva gremita, davanti a un pubblico impazzito. Eddy Baggio davanti a tutti e che importa se è ancora la serie C1, che importa se la partita è trasmessa da Teleadriatica. Eddy Baggio davanti a tutti, ma solo per pochi minuti. Al diciassettesimo minuto del secondo supplementare, infatti, l’attaccante di riserva Mirko Ventura segna il gol che regala la promozione all’Ancona e strappa la gloria dalle mani di Eddy. “Ho chiuso gli occhi e ho calciato, poi ho sentito il boato, li ho riaperti e mi sono trovato a correre inseguito dai miei compagni che urlavano”, confesserà anni dopo Ventura. Baggio invece, intervistato a caldo, cerca di minimizzare l’accaduto e parla del suo futuro incerto. 22 gol in campionato sono comunque tanti. Non sono 28, ma sono comunque tanti.
Tanti, ma non abbastanza. Non abbastanza come lui, Baggio ma non Roberto, Eddy ma non Merckx, bravo ma non campione, intelligente ma non eroe. Il resto della storia sono solo gol e infortuni tra serie B e C, una carriera di allenatore ancora ferma alle giovanili e tante, troppe parole di passaggio, frasi utilizzate come specchio, per parlare di qualcos’altro. “Quando le hanno detto della convocazione di Baggio non ha pensato che fosse suo fratello Eddy?” “Le voci girano. Napoli, l’ Inghilterra che preme, il Marsiglia o ancora il Vicenza, un ritorno alle origini, magari con il fratello Eddy.” “Una volta, parlando con Eddy Baggio, si diceva che la differenza tra un calciatore famoso e uno meno famoso è che quello meno famoso fa la spesa al supermercato, all’altro gliela portano”.