1872; nove anni dopo la propria fondazione, la Football Association (FA) inglese introduce tra le regole del gioco il corner kick, il calcio d’angolo. Il 24 giungo 1924, forse per festeggiare i suoi vent’anni, la FIFA decide di legalizzare il gol realizzato direttamente da calcio d’angolo.
Chissà se nei 52 anni trascorsi tra i due eventi il fenomeno del gol dalla bandierina si era diffuso al punto da esigerne la consacrazione legale, o se invece è stata un’idea dei burocrati calcistici internazionali per vivacizzare il giovane sport che si andava diffondendo in tutto il mondo. Il sito della stessa FIFA cita come episodio scatenante la rete realizzata da tale Sam Chedgzoy, poco prima dell’introduzione della norma. Questi, al momento di effettuare un corner, invece di calciare banalmente in mezzo partì palla al piede avviandosi verso la porta e andando in rete dopo alcuni tocchi solitari, tra gli sguardi basiti dei presenti e dell’arbitro che però non trovò nulla da obiettare. Chedgzoy sarebbe stato istruito dal suo compagno di squadra Ernest Edwards, informato del vuoto normativo da un suo amico giornalista sportivo di Liverpool.
Poco dopo l’introduzione della regola, il 2 ottobre 1924, l’argentino Cesáreo Onzari realizzò direttamente dalla bandierina l’unica rete dell’Argentina contro l’Uruguay, fresco campione olimpico, in un mondo dove ancora non esistevano i Mondiali. Non era solo il gol della “bandiera”: era appena nato “el gol olímpico”, così celebrato in tutto il Sud-America calcistico.
Le statistiche dicono che un gol analogo era stato segnato da tale Billy Aston il 21 agosto dello stesso anno in una partita di seconda divisione scozzese, ma l’exploit del povero Aston rimane puramente statistico. È un caso che l’espressione di “gol olimpico” non si sia diffusa nel vocabolario calcistico inglese né italiano, né tedesco o francese ma solo spagnolo e portoghese? I libri di storia calcistica latino-americana riportano vari nomi, perlopiù oscuri in Europa, di specialisti del gol olimpico, come gli argentini Juan Ernesto “Cococho” Alvarez e Anibal Francisco Cibeyra e il colombiano Nato Torres. In rete circolano centinaia di filmati di gol olimpici provenienti dai campionati latino-americani ma pochissimi, perlomeno a essere indicati in questo modo, dalle competizioni europee.
È come se esistesse un fossato calcistico tra le due culture calcistiche, materializzatosi nel 1962 quando il colombiano Marcos Coll divenne il primo e finora unico calciatore a segnare da calcio d’angolo in un mondiale, durante un memorabile 4-4 con l’Unione Sovietica. Ad amplificare il valore dell’impresa il fatto che la rete sia stata subita dal grande Lev Yashin. Tra l’altro le immagini d’epoca chiariscano come la responsabilità per la rete sia tutta del difensore sovietico che, mal calcolando la traiettoria, lascia che la palla si infili goffamente sul primo palo.
A sancire l’unificazione simbolica dei due continenti in nome del gol da bandierina ci pensa in tempi recenti Dejan Petkovic, serbo giramondo che dopo le esperienze europee (dal Real Madrid al Venezia) ha deciso a inizio millennio di stabilirsi in pianta (quasi) stabile in Brasile, con una spiccata preferenza per le squadre di Rio de Janeiro, dove è diventato uno dei simboli di Vasco da Gama prima e Flamengo poi. Unanimemente considerato il maggiore specialista di gol olimpici della storia brasiliana recente (almeno dai tifosi del Flamengo), qualche anno dopo il ritiro, Petko fu invitato dall’emittente ufficiale del Flamengo TVFLA a spiegare i segreti del suo modo di segnare dalla bandierina e a tentare in diretta di ripetere il gesto per cinque volte. Il vecchio Petko, in jeans e scarpe da cow-boy segnò tre reti su cinque.
Anche tra gli europei “stanziali” rimasti nel Vecchio continente non sono mancati gli specialisti. In Europa, però, l’abilità viene spesso assimilata a quella di battere rigori o punizioni, il che non permette di capire la specificità del gesto. Di conseguenza ne esce sminuita così la statura di calciatori come Mario Basler, il cui ricordo nella memoria dei tifosi del Werder prende soprattuto la forma di un gol olimpico, chiaramente cercato, contro il Friburgo. In Italia, in anni recenti, vengono in mente Baggio, Mancini, Diamanti, Mihaijlovic e Ronaldinho. Ma due sono i nomi a cui il colpo è associato in maniera più evidente: Massimo Palanca e “el chino” Recoba . Al primo, cannoniere e simbolo e indimenticato O’Rey del Catanzaro durante gli anni della Serie A, viene accreditato il record presunto di tredici marcature direttamente da corner. Un primato mondiale rivendicato soprattuto dalla curva catanzarese ma riportato anche dalla versione inglese di wikipedia e che comunque nessuno si è mai preso la briga di smentire. Anche perché statistiche affidabili sull’argomento non esistono. Per quanto riguarda il secondo, che si congedò dall’Italia con una valigia piena di soldi e un gol olimpico durante un inutile Inter- Empoli, ci si ricorda periodicamente del fatto che è ancora in attività quando giungono eco lontante dei suoi gol olimpici, invero sempre più frequenti negli ultimi tempi, con la maglia del Nacional.
Ma quanti tipi di gol olimpico esistono? Il più classico è quello sul palo vicino che nasce per un errore di piazzamento o comunicazione tra difensore e portiere. Ma c’è anche quello, di solito più scenografico e cercato, su quello lontano, sull’angolino alto. Di solito nasce colpendo col piede opposto al lato da cui la squadra in attacco batte il corner: da destra si batte col sinistro e viceversa. Ma c’è anche quello battuto, ad esempio, di sinistro dal lato sinistro. Un esempio recente su tutti, Roberto Carlos in un derby Corinthians- Portuguesa 2-0 del 2011, propiziato da un velo, probabilmente involontario, del Ronaldo più sovrappeso di sempre.
Dal momento che un calciatore si costruisce la reputazione di goleador olimpico sarebbe lecito pensare che gli avversari prendano le contromisure. Eppure i goleador olimpici di razza continuano a colpire per tutta la carriera. Quali sono i loro segreti? La fortuna, materializzata nelle amnesie dei difensori, aiuta senz’altro. Poi ci vuole ovviamente il piede buono, il lampo di genio, la lettura dello schieramento difensivo e l’intuizione di un possibile errore o della stanchezza degli avversari. Può aiutare, come nel caso di Ronaldo e Roberto Carlos (ad aiutare Palanca ci pensava di solito Claudio Ranieri), un velo o il piazzamento accorto di un compagno. Ma forse il vero segreto è quello lasciato trapelare dallo stesso Palanca in un’intervista: provare, provare, riprovare e riprovare ancora, fino allo sfinimento, incuranti delle proteste dei compagni saltatori. Specie i difensori, che per tentare la sorte si sono fatti tutto il campo e dovranno consumarsi la milza per tornare indietro ed evitare il contropiede mentre il Palanca di turno trotterella nella metà campo avversaria. Tentare un gol olimpico significa lanciare una preghiera agli dei del calcio per propiziarne la benevolenza, un atto di fede e di puro egoismo che si nutre delle debolezze dei nemici e dello scetticismo dei compagni, pronti comunque a ricredersi e a festeggiarne l’autore in caso di esito fausto.