Undici leoni

Undici leoni
23 Marzo 2015 Daniele Tiraferri

Dopo il successo riscosso dalla prima puntata delle riflessioni teocalcistiche di Don Felice, Valderrama ha ricevuto molte lettere di apprezzamento, di amicizia, di affetto, ma anche una di sfida: “Se davvero voi dite di conoscere bene il nostro Don dovete venire a sentire la magia del suo catechismo”.

Valderrama non ha voluto deludere questo lettore così esigente e, armato di pazienza e amore, si è precipitato nella parrocchia di Don Felice per ascoltare dal vivo, finalmente, le sue favolose prediche.
La parrocchia di Don Felice si trova nel cuore di un quartiere popolare. Il complesso architettonico consta di un muraglione grigio ricoperto di scritte inerenti a retrocessioni di squadre di calcio e abitudini leggere delle madri dei ragazzi del circondario. A volte dei ragazzi stessi. Al centro del complesso c’è una sorta di grosso cubo di cemento che dovrebbe essere la chiesa. Solo una gigantesca croce verde smeraldo che sovrasta l’edificio sta a indicare che quella cosa, dopotutto, è pur sempre la casa del Signore.
Lì, nel campetto della parrocchia, raccolti nel cerchio di centrocampo i catecumeni adoranti di ogni età, sesso, razza e religione, Don Felice racconta quello che la sua fede accaldata gli suggerisce. Il suo vangelo è un tap-in sempre vincente. Le sue parole rotolano dolcemente nelle porte sguarnite dell’anima di chi lo ascolta.
I catecumeni annuiscono, chiudono gli occhi, si lasciano andare.
Qui di seguito riportiamo fedelmente ciò che gli abbiamo sentito dire.
Immaginate il verde di quella croce, il verde del campo.
Ora, lasciatevi andare.

Se considerassimo il calcio come una religione allora potremmo affermare con certezza che Gesù Cristo, il Nazareno, fu il più grande allenatore della storia, colui che rivoluzionò il concetto stesso di religione. Colui che cambiò per sempre il modo di giocare, da uno stantio 4-4-2, praticato dai vecchi dottori della legge, a un più moderno e frizzante 4-3-3.

I suoi “ragazzi” lo chiamavano Rabbì, il Maestro, perché oltre che un maestro di gioco e tattica, fu un maestro di vita. Predicava calcio, giorno e notte, ma fu capace anche di insegnare alla sua squadra il sacrificio (“È meglio dare che ricevere”) e il fair play (“Amatevi gli uni e gli altri”). Ma non bastava, e il Maestro si mise a catechizzare pure i tifosi insegnandogli il tifo organizzato (“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome”).

A soli 32 anni sbucò fuori letteralmente dal nulla, non aveva mai toccato un pallone, né in prima squadra né nelle giovanili, non aveva neanche mai allenato e gli fu affidato l’incarico dal Presidente.“Un incarico per cui era nato”, scriverà sua madre nella biografia ufficiale Il vangelo di Gesù, come il 4-3-3 cambierà il mondo. “Inizialmente fu guardato con sospetto dai quei vecchi allenatori arroccati sul loro gioco difensivo, poi la gente iniziò ad amarlo per quello che diceva in conferenza stampa (“Beati gli ultimi, perché saranno i primi”). In campo faceva letteralmente dei miracoli; fu in grado persino di resuscitare Lazzaro, una punta vecchio stile (alto e goffo) che non si arrendeva al passare degli anni”.

 

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I suoi ragazzi, quelli che mise in lista Uefa (perché la Giudea faceva già parte della federazione europea) gli furono fedeli fino alla fine, tranne uno, Giuda Iscariota, che fu sorpreso a vendere le partite per 30 denari. Lui fu allontanato e messo fuori squadra.

L’undici titolare del Maestro passò alla storia ed è tuttora ricordato nelle scuole calcio di tutto il mondo.

In porta Sant’Andrea, un vecchio pescatore abituato a prendere pesci nel mar di Galilea: aveva imparato i rudimenti del mestiere quando giocava agli ordini di San Giovanni Battista. Nel suo ruolo un’assoluta certezza.

Terzino destro: San Bartolomeo, il Maestro l’aveva visto palleggiare sotto un fico e gli aveva proposto un contratto. Lui però non era convinto. Un allenatore così giovane. Di Nazareth, poi. Poteva mai venire qualcosa di buono da Nazareth? Si ricredette. Divenne protettore dei calzolai, lui di scarpe buone ne aveva bisogno per fare su e giù sulla fascia.

Centrale di destra: San Pietro, il più carismatico. Il Maestro gli affidò le chiavi della difesa e su di lui baserà tutto il suo gioco.

Centrale di sinistra: San Filippo, marcatore che ci pensava duecento volte prima di commettere fallo. Carattere non facile, ebbe persino qualche screzio con il Maestro. Specializzato nei salvataggi sulla linea di porta. In quel tempo, sugli spalti si diceva di lui: “Anche le sue reliquie faranno miracoli”.

Terzino sinistro: San Giacomo D’Alfeo. Di lui si sa poco o niente. Oggetto misterioso proveniente da campionati minori. Probabilmente non era neanche mancino.

Centrocampista centrale: San Tommaso, protettore degli architetti. Con le sue geometrie faceva girare la squadra a meraviglia. Ma era un altro che, come San Filippo, voleva capire, chiedeva approfondimenti, restava dopo gli allenamenti a ripassare le tattiche. Fino al giorno della partita non riusciva a credere che gli schemi del Maestro avrebbero funzionato. E questi, con pazienza, dopo cena gli spiegava a lungo di sé, delle sue idee, dei suoi rapporti col Presidente.

Centrocampista interno di sinistra: San Giuda Taddeo. Aria da contadino, fiducia illimitata nel suo Allenatore. Il martire per definizione, votato al sacrificio e alla sofferenza fisica era un vero recupera palloni.

Centrocampista interno di destra: San Simone lo zelota. Ai tempi gli zeloti erano guerrieri, e anche lui. Il centrocampo era il suo campo di battaglia.

Ala destra: San Giovanni evangelista. Intraprendente, fantasioso, il cocco del Maestro, lui e il fratello Giacomo erano chiamati i Boanèrghes, i figli del tuono. Formidabili in contropiede.

Ala sinistra: San Giacomo. L’altro figlio del tuono, più vecchio di Giovanni, ma con un temperamento ancor più forte. Focoso e irrequieto, ma uno dei pilastri del Maestro, sempre vicino a lui anche nei momenti più difficili (nella notte dei Getsemani era tra i più sconvolti).

Punta centrale: San Matteo evangelista. Anziano, barbuto. Prima di incontrare il mister faceva l’esattore delle tasse, poi diventò lui la tassa da pagare per gli avversari. Protettore dei contabili, il suo conto dei gol era sempre in attivo.

Gesù fu il primo allenatore della storia a subire le angherie ingiustificate dei tifosi avversari e dei media. Patì un vero e proprio calvario e fu messo in croce dall’opinione pubblica. Esonerato, dopo tre giorni fu richiamato dal Presidente per salvare la squadra. Durò altri 50 giorni, giusto in tempo per finire la stagione, poi ricevette la chiamata che tanto aspettava e salì di categoria.