L’Indian Hero Super League è finita da mesi. Gli eroi sono andati via e insieme a loro anche tanti altri meno eroici. Sono rimasti gli indiani, e i cowboy senza casa. Hume e Chopra ce l’hanno fatta, hanno un contratto, sono scappati dal Kerala Blasters, dopo grandi abbracci e senza sentimenti. Chopra è in Scozia, in serie B. Hume è addirittura tornato a casa, in quarta serie inglese con la maglia di quel Tranmere Rovers dove esordì più di dieci anni e mille illusioni fa.
Anche James Keene avrebbe una casa dove tornare, Portsmouth, ma l’allenatore Andy Awford è un uomo educato e gelido. Uno che da quindici anni è al Fratton Park, come osservatore o manager o allenatore. Conosce bene James Keene, l’ha visto esordire in prima squadra, contro il Bolton Wanderers, marcato da Fernando Hierro. Poi ha acconsentito che andasse via in prestito a farsi le ossa. Poi, a ossa fatte e rotte, ha accettato che fosse scaricato definitivamente in Svezia. E non ha mai battuto ciglio.
James Keene è svincolato. Il sogno indiano è finito male. Il suo Northeast United è arrivato ultimo, lui non ha fatto nemmeno un gol e il fiume Brahmaputra continua a scorrere con indifferenza. Awford non lo ha chiamato né prima né durante né dopo il torneo. James è scomparso dall’India, ma non è tornato in Inghilterra. È andato a Soweto, un’enorme area urbana della città di Johannesburg il cui nome evoca misteri tribali ma che in realtà è solo l’acronimo di South West Township. Per qualche settimana James si è allenato con i Kaizer Chiefs. L’allenatore Stuart Baxter, uno dei pochi al mondo che abbia stima di lui, ha espressamente chiesto alla dirigenza di comprarlo. Gli serve uno che corre. Gli serve uno fedele alla causa. Uno bianco, perché no. E poi gli dispiace per lui, James Keene, coda di squame, bravo ragazzo. Ma il direttore sportivo Motaung non sembra volerlo accontentare.
Ore nove e quindici del mattino al Jazz Maniacs, lussuoso bar in un hotel a Soweto. Stuart Baxter, allenatore cinquantenne scozzese con la faccia dura e abbronzata e un pizzetto cattivo, cerca di rassicurare l’inglese James Keene, nemmeno trentenne, senza contratto, senza lavoro. Gli racconta una serie di storie su sua moglie. Mentre James ride di gusto, Stuart si chiede se siano davvero così divertenti le proprie barzellette o se sceglie male il suo pubblico. Quando James gli chiede come mai tutti gli scozzesi che conosce abbiano un gran senso dell’umorismo, Baxter non si lascia sfuggire l’occasione e gli risponde: “Come on Jock, It’s free”. Baxter si trova bene con questo ragazzo. Un professionista vero. Confusionario in campo, superficiale e spendaccione fuori dal campo. Negli spogliatoi, però, è eccezionale. Raccoglie la sua roba con cura, la sistema nell’armadietto. Interagisce con tutti, sorride, scherza, a volte accetta di ascoltare la musica di grossi giganti neri sudafricani. Si mette la cuffia e guarda nel vuoto, con un sorriso gentile, accondiscendente. Quando si tratta di allenarsi è un vero atleta. Testa giù, non chiede mai la pausa. Puntuale, rigoroso. Ha il fisico per correre e lo usa. Non fosse per quella testa così incassata. Quando gioca si ingobbisce troppo. Come fa un attaccante a vedere la porta, se si chiude così in sé stesso? Non la vede. James non la vede la porta. Cos’altro non vede James?
Mentre James fa a pezzi il bacon della sua colazione inglese nel lussuoso bar di Soweto, Stuart gli chiede a bruciapelo: “Come sei messo a social network?”. James pensa sia uno scherzo, ma Baxter non è tipo da cambiare espressione. “Curi la tua pagina su facebook? Twitter?”. James è distratto sui social network, ha tutti i profili attivi ma li segue poco. Qualche foto, soprattutto dopo l’avventura indiana. Private, disponibili solo per gli amici. Su Twitter segue il Portsmouth, Robben, un paio di comici che gli piacciono, un giro contorto di riviste di calcio. “Fammi vedere il tuo profilo”. La faccenda sembra seria e il ragazzotto inglese tira fuori il telefono.
“Non hai un tablet?”, rincara la dose Baxter. “No, ma pensavo di prenderlo”. “Per fare che?”. “Non so, quando sono in aereo. Per leggere”. “Cosa leggi James? Che cazzate leggi James?”. “Leggo Dickens”. “Leggi Dickens?”. James scoppia a ridere e Baxter con lui, non si trattiene. Anche il ragazzo ogni tanto tira fuori una buona battuta. Lo ha conosciuto in Svezia. James all’Elfsborg, Baxter non se lo ricorda nemmeno più. Per lui le squadre sono aziende dal nome impronunciabile. Il profilo del ragazzo fa pena. Foto mosse in cui compaiono solo uomini. Feste in cui le donne, vestite senza alcuna grazia, hanno la bocca aperta, immortalate in espressioni spaventose. Sembrano feste di scimmie. Il ragazzo è sciatto.
“Ce l’hai una figa?”. “Non ho una fissa, ora mi vedo con questa”. Compare la foto di una studentessa nera di sedici, forse diciassette anni. “Questa non ha la figa, ha una cerniera. Ce l’hai una figa?”. James è un po’ rintronato. Ha dormito poco. L’appuntamento così presto al mattino di un giorno libero lo ha messo di cattivo umore. E Baxter non si lava. L’odore di bacon e quello della saliva fetida del suo allenatore cominciano a stomacarlo. Perché è lì con quello scozzese fallito?
Gli mostra una bellezza mozzafiato con cui era stato quando giocava a Tel Aviv. Baxter è colpito. Non dice niente. Solo: “Metti questa come foto profilo”. E aggiunge una specie di rantolo di maledizione. James non capisce questo gioco. “Mister, hai parlato con Mubumbu?”. Baxter quasi spacca il tavolo con un’imprecazione: “Si chiama Motaung. Si chiama Motaung, testa di squame, e per te è il Direttore. O Presidente. O Re. Tu devi imparare molte cose ancora James”. “Sì, ma hai parlato?”. “No. Oggi pomeriggio hanno una riunione”. “E parlano di me”, si illumina James.
“Di te e della troia che metti nella foto profilo, amico mio. Se la guardano bene e pensano ‘questa viene allo stadio a vedere le partite. Chissà se me la posso fare’. E ti prendono. E ti tengono”, aggiunge Baxter tirando fuori il portafogli. “Mi tengono?”.
Baxter si alza in piedi, lanciando un’occhiata all’orologio della sala e al cameriere italiano che si affretta a raggiungerlo. Poi guarda meglio il suo James Keene. Lui stesso ha voluto che venisse ad allenarsi a Soweto. Lui ha chiesto al dottor Motaung di tesserarlo. Ma il Kaizer Chiefs, la squadra di Baxter, sta dominando il campionato. Prima con troppi punti di distacco dalla seconda. “A che serve prendersi questo inglese finito?”, gli ha risposto il dottor Motaung. Baxter ha tentennato. Non è che si stava caricando sulle spalle una mucca senza latte?
Dopo l’esperienza in India, James si era visibilmente rammollito. Si sentiva una star di Bollywood. Sarà che quel posto dove stava era una fogna. Si sarà bruciato tutti i soldi. Se l’hanno pagato. James, nella luce arancione del Jazz Maniacs, gonfio di sonno e con la bocca unta di pancetta, gli fa quasi pena. Baxter gli sorride e gli dice: “Io ho chiesto di tenerti. Oggi decidono. Tu nel frattempo sparati”. Il cameriere fruscia al suo fianco, ossequioso e terrorizzato, si infila nella giacca il denaro che lo scozzese gli offre e ostentando un senso di profonda gratitudine sparisce nel nulla della sala.
James resta solo a finire la colazione, con il telefonino in mano e la foto della bella modella israeliana. C’è un problema. Non ci sono foto di loro due insieme. Lei da sola. Lui da solo. Loro a una festa, in fondo, in posa con altre quaranta persone, a bordo piscina. In quel momento James Keene, coda di squame, si rende conto che al Jazz Maniacs trasmettono musica classica. Sente lo stomaco chiudersi ed esce senza guardare nessuno, senza che nessuno se ne accorga.
30.3.2015
ESCLUSIVO di Ernest Makhaya
Goal.com rivela che la dirigenza dei Kaizer Chiefs ha deciso di non mettere sotto contratto James Keene, anche se resta disponibile a trovare un accordo per la prossima stagione. “Non firmerà adesso. La dirigenza sta pensando di metterlo sotto contratto l’anno prossimo, sempre che non riceva un’offerta migliore altrove”, ha spiegato la fonte a goal.com. Il ventinovenne Keene, ex attaccante del Portsmouth, si è allenato con i Chiefs sotto lo sguardo di Stuart Baxter per una settimana, e secondo alcune fonti avrebbe fatto una buona impressione sullo staff tecnico.
Dopo una serie di incontri tra le parti, i Chiefs hanno deciso di non procedere con la firma del contratto. I tentativi di goal.com di raggiungere il manager dei Chiefs Bobby Motaung si sono rivelati vani. Lunedì mattina il suo telefono ha squillato a lungo senza risposta.
commenti:
Sthembiso Gumede: ya ne kahle kahle why chiefs ingathenganga umgadli nge window period coz veli ubedingeka kuseno nkatha coz last year siluze I league ekhona unkatha .I chiefs kumele iyeke ukuba stiggy coz lento yabo yokuthenga iyabadida manje sebethenga noma yin.
Sfiso Qwabe: Makes sense. If you take in account the fact that he will have to apply for work permit which can take up to 3 months if not more to materilise.
Bobo Phiri: makes sense to me.