Francesco Moriero sogna. Non di saltare l’uomo e mettere il cross, quello non può essere il suo sogno. L’ha fatto nella realtà per tutta la carriera. Sogna di essere circondato, da cinque, sei, sette avversari, un pressing sempre più cattivo. È angosciato. Perché stavolta non funziona, perché arrivano tutti attorno a me? Capisce che sta sognando e pensa a come si comporterebbe nella realtà. Non c’è nulla di vergognoso a mettere la palla in fallo laterale. Potrei provare un lancio a casaccio, sperando che l’attaccante abbia ancora un po’ di corsa nelle gambe per non farmi sfigurare. Ma i movimenti non vanno: c’è qualcosa nell’inconscio che li impedisce. Gli avversari sono sempre di più, sempre più vicini, si fanno sempre più invadenti. Francesco ha il loro fiato sul collo, sente il loro sudore. Poi si gira e spalanca gli occhi: di fianco a lui Emilia. Lo dicevo io, che era un sogno. Lei accende il televisore, hai sentito amore è affondato un altro barcone di disgraziati. Ma lui sta pensando al suo sogno, la ignora mentre si lava i denti, li ha sempre tenuti così bianchi. Rimugina su quell’azione, come se ne esce? Dove stanno i compagni? Perché non c’è alcuna linea di passaggio possibile? Forse è un sogno di vecchiaia: gli indica che non è più in grado di gestire una palla vagante sulla fascia. Eppure anche adesso, nei lunedì al campetto, è di gran lunga il più forte (certo, gli altri mica hanno giocato in serie A) e non ha problemi a saltarli tutti, qualora si presenti l’occasione. Mentre i pensieri si perdono, tornano a farsi sentire i commentini spigolosi della moglie rivolti al telegiornale del mattino, provenienti dalla zona soggiorno. Finalmente il caffè, pensa Francesco, ma il boccone gli viene guastato dalla moglie: “dovremmo fare qualcosa per questi poveracci, in fondo non hanno fatto nulla di male.” Ma perché non si fa gli affari suoi? Deve mettercisi anche lei ora? Qualcun altro vuole obbligarlo a pensare stamattina?
Lo circondano, non gli lasciano spazio. Gli avversari. Armati, hanno pistole, giornali, microfoni. Come smarcarsi dall’immagine di giocatore nerboruto e beota? Come rendere le proprie opinioni uno strumento di trasformazione del mondo? Le immagini e le parole: schegge di calcio che colpiscono il corpo ferito della politica durante la seconda repubblica.
Tra quelli che hanno sentito l’irrefrenabile bisogno di allontanarsi in modo tanto plateale da sé stessi (scartando dunque coloro che già si occupavano di politica per passione personale), troviamo per caso Simone Perrotta. Lui ha scelto di usare la metafora calcistica per descrivere la sua nuova fede politica, che ha urlato ai quattro venti con una dichiarazione di voto per il Movimento 5 Stelle. Dice che Grillo è come lui, che si inserisce negli spazi. Eppure il lessico di Grillo ha sempre usato più parole come “sgomberare il campo” e “puntiamo al 100%” piuttosto che cercare spazio.
Stefano Tacconi invece le idee chiare ce le ha da molto tempo, e molte sono le volte in cui ci ha provato: candidato per Alleanza Nazionale nel 1999, con il nuovo MSI nel 2005 (alla presidenza della regione in Lombardia, ma poi non presenta le firme necessarie) e di nuovo con Alleanza Nazionale in sostegno a Letizia Moratti a Milano nel 2006. Le sua dichiarazione più intelligente durante quella lunga campagna per l’estrema destra fu “odio l’Islam, ma bisogna avere rispetto per tutti”, giusto poco prima di venire condannato per aver utilizzato insegne pubbliche contraffatte, ovvero di una paletta e di un tesserino falso che gli permettevano di parcheggiare il Cayenne dove preferiva. La paletta era un dono del fondatore della lista per cui correva, Gaetano Saya, un ex membro di Gladio che, a metà degli anni zero, aveva fondato una polizia parallela illegale con funzioni di “anti-terrorismo”. Nel medesimo periodo Tacconi non disdegnava di fare da cavia umana per il viagra in TV e il presidente del Varese (per soli tre mesi) nel momento in cui la società era sparita dal calcio professionistico. La sindrome del portierone continuava a colpirlo, tanto che dichiarò: “se Reagan è diventato presidente degli Stati Uniti, io posso arrivare ovunque”. Del resto, come dargli torto?
Nel 1996, ben prima di cominciare a commentare per Sky, Massimo Mauro venne eletto alla camera nella lista dell’Ulivo e si iscrisse ai Democratici di Sinistra. A Torino fu consigliere comunale. Nel 2009 si iscrisse infine al PD, completando la parabola democratica degli ex comunisti di governo. Ma ultimamente il suo sogno del calciatore in pensione, quello di dire ciò che pensa del mondo, l’ha portato a essere molto critico anche verso il proprio partito, in particolare riferendosi alla propria terra natìa, la Calabria: “Certo nell’ultimo comizio elettorale con Renzi in prima fila c’erano tutti i notabili del centrosinistra calabrese che non hanno fatto nulla negli ultimi vent’anni. È una tragedia.” Ma il suo ruolo da intellettuale è ormai consolidato anche a livello nazionale: “Spero che il Pd non faccia con Salvini come ha fatto con Berlusconi, che non cerchi di inseguirlo per vent’anni. Salvini è vergognoso”.
Giuseppe Giannini si candidò alle regionali del Lazio per Forza Italia nel 2005, senza del resto venire eletto. Ma, durante gli ultimi anni, il suo modo di fare politica non ha avuto molto a che fare con comizi e promesse. Le ultime notizie su di lui riportano piuttosto di un’indagine sui tempi in cui l’attuale ct del Libano allenava il Gallipoli e potrebbe aver pagato gli avversari e alcuni esponenti della Camorra per guadagnare la promozione della sua squadra, che all’epoca militava in Lega Pro. Ma il Principe smentisce tutto e spera che queste notizie vengano rettificate.
Giovanni Galli si batté strenuamente contro l’attuale premier nel 2009, quando si candidò a sindaco di Firenze appoggiato dal Popolo delle Libertà. Ovviamente vinse Renzi, vero cannibale dell’arena politica. A Giovanni non rimase quindi che un posto in consiglio comunale, in attesa di riprovarci nel 2014 quando si candidò alle Europee con Forza Italia, anche stavolta senza venire eletto. La sconfitta di Firenze però Galli non l’ha mai digerita e non perde occasione per recriminare: sospetta che volessero bruciarlo, che i suoi amici pensassero già in partenza di essere sconfitti in una città in cui era molto difficile competere con il centro-sinistra. Un po’ come la fine che ha fatto Seedorf come allenatore del Milan.
Angelo Peruzzi, fatto ritorno al paese natale, ha deciso anch’egli di candidarsi nella lista del Pdl per il rinnovo della giunta comunale. Vinte le elezioni, è stato nominato vice-sindaco. Ma nel 2013, intervistato dal Messaggero, Angelo esprime la sua amarezza: “Penso che la mia esperienza amministrativa sia giunta al termine. Ora sono un semplice consigliere visto che non ricopro più nemmeno la carica di vice-sindaco. La politica mi ha deluso: in questi anni mi sono impegnato per tanti progetti e iniziative che alla fine non hanno avuto l’esito che speravo. È un mondo senza riconoscenza che sembra non avere voglia di cambiare”.
Antonio Cabrini, eroe nazionale dell’82, si è deciso a realizzare il sogno solo nel 2009, entrando a far parte dell’Italia dei Valori come responsabile dello sport per la regione Lazio. Ora è ambasciatore di Expo. Questa la sua testimonianza: “Oggi sappiamo con certezza che nutrirsi in maniera sana, con cibi genuini e sicuri, è senz’altro un elemento favorevole per ottenere risultati sportivi importanti”. Ma l’esposizione universale è sotto stretta osservazione della magistratura per giri di denaro e appalti non proprio chiari: il suo mentore Di Pietro non avrebbe affatto gradito. Ma, in fondo, della sua esperienza in politica, si ricordano in pochi. Forse era solo un sogno?