È il giorno della finale. La temperatura a Doha è di 45 gradi. I fili d’erba sintetica hanno le punte bruciacchiate dal sole, i cui raggi penetrano attraverso la gigantesca tettoia aperta per qualche ora prima della partita. La plastica verde emmette un odore di catrame disgustoso, le tossine hanno reso l’aria irrespirabile. Le due squadre indosseranno l’obbligatorio cerotto nasale per dilatare le narici.
Roberto si è appena svegliato. Ha iniziato la lunga e meticolosa metamorfosi alla quale si sottopone tutte le mattine prima di una partita. La riga a lato, perfettamente allineata nonostante la notte insonne e le contorsioni sul cuscino, viene pazientemente scompigliata. Con il sostegno di una schiuma cosmetica viene eretta la cresta alla moicana, ormai obbligatoria. Roberto è un tipo semplice e non avrebbe mai voluto diventare calciatore. Del vecchio calcio aveva solo qualche piacevole ricordo sfuocato, di quando era bambino, a 6 anni, durante il mondiale in Germania. Ricordava l’esultanza del padre, più che altro. Roberto non capiva molto e stava zitto dietro alle sdraio, distratto da partite immaginarie giocate coi tappi del Caffè Borghetti in un campo tracciato sul suolo con lo sputo. Suo padre era stato una promessa fallita della Sampdoria, per colpa di un ginocchio malconcio. Roberto non lo aveva mai visto così felice come quella notte. Per tutta la vita ha accettato di barattare la propria felicità per un altro momento come quello. Ha imparato a fare provini, a recitare la parte, a farsi i selfie giusti.
Il passaggio più doloroso della metamorfosi è quello pubblicitario. Ogni mattina prima della partita Roberto cauterizza uno ad uno i tatuaggi obbligatori degli sponsor su tutto il corpo, incluso il torso e l’ inguine in caso di esultanza obbligatoria con lancio della maglia verso le telecamere. Inquadrata fra i due capezzoli si legge a caratteri cubitali la scritta MARLBORO, fornitore di tabacco per la nazionale italiana. Ha aperto le finestre della sua camera d’albergo, e dai megafoni si sente chiaro il messaggio del presidente FIFA Raiola: “In questi anni tante cose sono cambiate. E il pallone, come il mondo, ha continuato a girare. Abbiamo fatto tanti passi in avanti, e li abbiamo fatti insieme, un calcio alla volta. È stato un decennio di guerre sanguinose e sconvolgimenti politici. I popoli di tutto il mondo, voi utenti, noi dirigenti e loro, i grandi protagonisti, i vostri eroi moderni, i calciatori, siamo restati uniti contro la violenza e il razzismo. Dicevano che il calcio fosse finito. Dicevano che ormai contavano solo i soldi. Ma tutti insieme lo abbiamo riformato. La violenza negli stadi è solo un brutto ricordo. Le scorrettezze, le simulazioni, la corruzione e le polemiche sugli arbitraggi sono ormai solo un’ombra del passato. Oggi si celebra il momento che noi tutti aspettavamo. Dall’anno prossimo il mondiale si giocherà ogni anno, come sapete, sempre qui a Doha. Questo è il momento di archiviare il passato e guardare al futuro. Nella certezza che seppure più piccolo di qualche centimetro il pallone continuerà a rotolare. Le reti più grandi, le aree di rigore più piccole, le sfide sempre più difficili. Ma sono convinto che ce la faremo, insieme. Il calcio siete voi, utenti, e ora collegatevi al vostro Pod ed iniziate a votare le formazioni titolari di stasera. E come diceva il maresciallo de Coubertin, che vinca il più forte!”
“Presidente la frase, il maresciallo, non era un maresciallo…”
“Eh?”
“La frase Presidente, la frase è che vinca il migliore”
“Ma si, ma che cazzo vuoi che ne sappiano ‘sti mongoloidi”
“Ma… la frase Presidente”
“CHE VINCA IL MIGLIORE!”
FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Dallo stadio arrivano all’unisono i suoni delle migliaia di fischietti che acclamano la fine del discorso. È stata una delle concessioni che il presidente Raiola ha dovuto fare alla federazione Giapponese, prima del suo scioglimento. Dopo aver sostitutito gli striscioni con i messaggi degli sponsor, i cori sono stati rimpiazzati dai vecchi fischietti delle finali intercontinentali a Tokio. Poi è stato eliminato il pubblico. Come nelle infinite rifrazioni dell’occhio di una mosca, gli spalti sono punteggiati oggi da una miriade di telecamere. Ogni telecamera, una visuale esclusiva da casa, direttamente dal proprio Pod, ovunque ci si trovi.
Roberto ha finito di truccarsi. Si accende una sigaretta e ascolta in filodiffusione il monotono conteggio degli exit poll sulle formazioni della finale. Sembra che stasera non sarà titolare. È tutta una farsa, pensa. È tutto un… “RRRRRRRRRRRRRR”. Uno strano rumore interrompe le trasmissioni. Roberto scuote la radio, ma il suono persiste. “RRRRRRRRRRRRRR”. Il rumore viene dal cesso. “RRROBEEERRRTO, RRROOOBERRRTO”.
Il ragazzo scosta la porta con timore. Davanti ai suoi occhi si presenta una scena incomprensibile: come in un incubo, davanti alle piastrelle bianche ed asettiche del bagno si staglia una minacciosa e sgangherata figura di uomo. È un vecchio avvolto da luridi stracci neri, sporco di fuliggine. Sulla gola ha un microfono che sembra inserito chirurgicamente nel corpo. Le gambe sono protesi arruginite, gli occhi sono cavi, coperti in modo maldestro da bende incrostate di sangue raggrumato e grasso da automobile. Roberto è terrorizzato. Muove la testa in tutte le direzioni e lo fissa. “Buonasera dallo stadio Meazza in San Siro da Brrruno Pizzul. Tu sei trrroppo giovane perrr saperrre chi sono.” Ora che articola frasi complete il suono della sua voce ricorda quello dei tabagisti a cui è stata asportata la trachea. “Ho una missione, e un rrregalo per te. Sono immagini che non avremmo mai voluto commentare. ED È GOOOLL, GOOOOLL, GOOOLLL.
L’ispanizzazione del calcio ha raggiunto l’apice dopo il mondiale russo del 2018, vinto dalla Spagna dopo il breve interregno tedesco del mondiale brasiliano e dell’europeo francese. Gli attentati terroristici di Mosca e San Pietroburgo e la morte di Messi hanno costretto all’abdicazione il presidente Maradona e hanno portato a nuove elezioni. I campionati nazionali sono stati interrotti per un anno. Alla ripresa, dopo l’elezione di Mino Raiola, sono stati sostituiti da superleghe continentali. Gli arbitri sono stati rimpiazzati da piccoli monoliti neri, che punteggiano le linee laterali e di fondo rilevando le irregolarità con un margine di errore pressochè nullo. Gli allenatori, vecchie cariatidi di un calcio superato, sono stati sostituiti dal televoto da casa per tattiche e formazioni in tempo reale. Le moviole, e di conseguenza le trasmissioni sportive, abolite: al loro posto comici di tutte le nazionalità con le loro imitazioni, parrucche e nasi prostetici, alternate alle continue ripetizioni di gol montati al ritmo di musica pop, trasmessa anche durante le partite in luogo della telecronaca. I giornalisti sportivi, ormai una casta di rinnegati ai margini della società, vengono avvistati spesso attorno ai maggiori centri urbani del pianeta alla patetica ricerca di benefattori interessati alle loro opinioni in cambio di pochi spiccioli, braccati e mutilati dagli steward della FIFA.
Alla proclamazione di Raiola come presidente, un obeso e barbuto Zlatan Ibrahimovic ha ricevuto la nomina di vicepresidente: factotum plenipotenziario con delega alla sicurezza dentro e fuori gli stadi. Le porte allargate e i nuovi palloni, minuscoli proiettili a rimbalzo controllato, hanno aumentato la media gol a 4 a partita, insieme al decreto per l’eliminazione del pareggio. In caso di parità alla fine dei 60 minuti, le partite vengono decise agli shoot-out. L’ispanizzazione ha prodotto un altro dirompente effetto: il gol è ora valido solo se la marcatura avviene all’interno dell’area di rigore. Senza scivolate a gambe unite e tiri da fuori area, il calcio è diventato un mostruoso show business senz’anima, il cui rituale vuoto di partite scontate e soporifere si ripete in diretta tutti i giorni della settimana, in alta definizione.
Roberto nasconde il fagotto di stracci nella sua sacca, bussa alla porta di capitan Scuffet e inforca le cuffie. La partita è ormai vicina e sicuro dell’unico posto da titolare in attacco è Mario Balotelli, centrattacco ultratrentenne capitano del Kings International Investment Group AC Milan, anche conosciuto come KIIGCAM. La superlega europea è posseduta in parti uguali dai due sponsor della FIFA, Nike e Adidas. Negli ultimi anni la finale scudetto si è costantemente giocata fra KIIGCAM e First Allied Corporation Manchester United Football Club. Mario Balotelli, vincitore del premio del pubblico per le sue creste multicolore e le esultanze sempre più politicamente scorrette, ha realizzato la migliore stagione in carriera nell’annata 2017-2018, segnando 43 gol di cui 32 su rigore. Alla consegna del premio, il presidente Raiola ha ricordato come Mario sia stato un suo pupillo, in un’altra vita, e come nonostante la carriera travagliata lui ne sia rimasto amico, padre e mentore. Sull’autobus verso lo stadio Balotelli è serissimo, concentrato, mentre sfoglia un catalogo di biancheria intima femminile. Il Brasile ha superato una temibile Cina in semifinale per 5 a 3, mentre l’Italia passeggiava sull’appagato e disorganizzato Qatar. Il piano di Roberto è semplice: entrare in campo, segnare un gol e al momento dell’esultanza tirare fuori l’apparecchio dalle mutande.
È già il sessantesimo e la partita è ancora sullo 0 a 0. Roberto è subentrato ad un’esausto Verratti, nel tentativo di portare a casa la partita negli ultimi minuti con le due punte. I fischietti coprono l’impercettibile brusio di zoom e sensori delle telecamere puntate sul campo, integrandosi alla perfezione con il Best Of di Justin Bieber che ha risuonato nello stadio vuoto per gli ultimi 15 minuti. L’arbitro fischia la fine. Roberto è il primo dei rigoristi. Pone la palla sul cerchio di centrocampo e inizia a correre. È dentro l’area. Si ferma, tiene la palla sotto la suola e alza lo sguardo verso gli spalti. Il portiere è incredulo, i fischietti si fermano. Roberto mette la mano nelle mutande. Tira fuori uno strano ordigno e lo alza col pugno, in modo fiero e persino spavaldo. L’ordigno si alza in volo. Ricorda un piccolo pallone Tango, ricoperto di viti e bulloni. Roberto inizia a sorridere, ricordando ciò che Pizzul gli ha detto poche ore prima, nel cesso. Il dolore è lancinante. La sensazione dei tacchetti che penetrano il tendine di Achille atroce. L’ultimo ricordo, prima delle tenebre, è quello di Balotelli che lo guarda, senza espressione, dall’alto.
Roberto si sveglia in una camera buia. Qualcuno gli parla in italiano, con l’accento slavo. È Zlatan. Con la mente annebbiata e le orecchie piene di sangue, il ragazzo sente solo la parola “rieducazione”. Gli occhi di Roberto sono aperti artificialmente. Iniziano pubblicità della FIFA. Inizia il rotocalco sulle chiappe chiacchierate dei calciatori del passato. La top ten dei gusti musicali di Cristiano Ronaldo. Iniziano a scorrere le immagini di quel mondiale del 2006. Roberto pensa al padre, ai tappi del Caffè Borghetti e lascia scorrere una lacrima.