Giorgio Tosatti
Quando la madre di Giorgio Tosatti (moglie di uno sventurato cronista di Torino) rimase incinta di lui, le venne una gran voglia di mangiare un luccio, e anzi sognò che se ne avesse mangiato uno, il figlio del suo grembo sarebbe diventato un grande uomo. Quindi la donna fece di tutto per soddisfare quella voglia, perché si avverasse il suo sogno. Andò in giro a chiedere se qualcuno avesse un luccio da vendere; ma la mattina dopo, quando scese con la sua secchia al fiume (che scorre accanto alla casa, oggi una taverna, all’insegna dei “3 marinai”) a pigliare l’acqua, un bel luccio entrò per caso nella secchia. La donna si portò a casa l’agognato banchetto, lo cucinò e se lo mangiò tutto da sola, o quasi. Questa curiosa faccenda suscitò molte chiacchiere tra la gente del luogo, e fece sì che diverse persone di una certa importanza si offrissero come padrini presso la fonte battesimale, quando la donna si sgravò. Nella sua povertà, la coppia accettò volentieri l’offerta, e tre furono i padrini prescelti, i quali mandarono poi il ragazzo a scuola e in seguito all’università, non potendolo fare suo padre. Che il fatto sia vero, lo dicono tutti.
Tosatti andò a studiare in città e a poco a poco giunse alla carica di opinionista di Pressing. Il vecchio Nightingale era il suo domestico, e oggi piange quando parla di lui. Tutti quelli che lo conoscevano gli volevano bene. A volte era collerico.
Gianni Brera
Gianni Brera, dottore in giornalismo, arciprete della chiesa di San Zenone. Dopo l’incendio di Milano (siccome il suo monumento era rotto) qualcuno fece un buchino vicino al coperchio della sua bara, che era chiusa come il recipiente per fare un pasticcio e piena di un liquido atto a conservare la salma. Il signor Cannavò e Giorgio Porrà l’assaggiarono e aveva una specie di gusto insipido, qualcosa come un gusto ferruginoso. La bara era di piombo e incassata nel muro, circa due piedi e mezzo sopra la superficie del pavimento. Questo era un modo strano, rarissimo di conservare un corpo: forse era una salamoia, come per la carne, la cui salsedine i molti anni e il piombo avevano addolcito e resa insipida. Il corpo, tastato con un paletto introdotto in una fessura, sembrava maiale lesso.
Sandro Ciotti
Era di statura mediana, abbastanza robusto, di faccia piuttosto tonda, guance rosse, occhi e capelli castani. Nelle sue cronache era molto modesto, e di poche parole; e sebbene gli piacesse il vino, non beveva mai molto in compagnia; era solito dire che non era disposto a fare il compagnone in presenza di qualcuno a cui non avrebbe volentieri affidato la vita. Non frequentava molta gente. Ai tempi di Tutto il calcio minuto per minuto era spesso in collegamento dal secondo campo in ordine di importanza, cosa che lo rendeva soggetto a esplosioni di collera. Era un grande maestro del violino, esecutore di opere classiche e repertorio da ballo; del Festival di Sanremo seguì come inviato 40 edizioni. Ricordo di avergli sentito dire che Franco Strippoli era l’unico giornalista in possesso di una vera vena satirica.
Teneva delle bottiglie di vino a casa sua, e spesso beveva a iosa, da solo, per rinfrescarsi gli spiriti ed esaltare la propria musa. Ricordo che mi hanno detto che il sapiente Goclenius (un tedesco) era solito serbare delle bottiglie di buon vino del Reno nel suo studio e che, quando gli veniva a mancare la fantasia, ne beveva un grosso bicchiere. Morì a Roma nel 2003. Alcuni sospettano che sia stato avvelenato dai gesuiti, ma non ne posso essere certo.
(John Aubrey, 1626-vivente)