All’inizio del Novecento l’alta borghesia viennese interpretò così le teorie di Sigmund Freud: tutta la nostra vita ruota attorno al sesso tranne il sesso, che si configura sempre come una questione di potere. Potremmo affermare che anche il calcio ruota attorno al sesso e spiegare, in questo modo, l’evoluzione metrosessuale del calciatore. Dalle creme di Montolivo al corpo tatuato di Beckham, dalle tecniche depilatorie di Zarate al ciuffo imbrillantinato di Abate, la questione appare chiara: la sensualità dell’immagine pubblicitaria supera la rilevanza della tecnica e della tattica.
Prendiamo come esempio le sopracciglia di Cristiano Ronaldo. A un primo sguardo sembrano naturali: nessun logo della Nike alla El-Shaarawy, nessuna esagerazione alla Skorupski, nessun taglio trasversale alla Miccoli. In realtà, se lo si osserva bene, si può notare una certa pulizia ai margini e una forma perfetta che valorizza l’occhio verde e la pelle ambrata del ragazzo di Funchal. Tutto troppo perfetto. E quando non è troppo perfetto è esageratamente ricercato, ostentato, sfacciato. Come il sesso da videoclip, o quello da adolescenti ubriachi e inesperti. Ma è sempre stato così?
Scavando negli album delle fotografie Panini e nelle foto di squadra pubblicate negli almanacchi del calcio degli anni ottanta e novanta, troviamo una vasta gamma di visi, e di sopracciglia in particolare, resistenti all’omologazione della moda e delle esigenze d’immagine. Dobbiamo dedurne che, in fondo, i calciatori di quell’epoca non fossero sex symbol? Che nel “calcio più umano” dei decenni passati (concetto sgradevole come la perifrasi utilizzata per designarlo) il calciatore non fosse, prima di tutto, un prodotto promozionale, un veicolo per le marche da rendere attraente come un elettrodomestico o un abbonamento alla pay-tv? Che il suo corpo non fosse un corpo del desiderio e che il calcio non fosse (ancora) una questione di sesso? Che il calcio, insomma, fosse un puro sogno infantile, capace di farci ripiombare in quella fase prepuberale in cui il sommovimento di un autobus non riesce ancora a stimolare un’erezione?
Niente di più falso. Il punto è che il calcio ha sempre riguardato l’ambito della sessualità e del desiderio, adeguandosi al gusto del tempo e, talvolta, modificandolo. Non ci si deve interrogare sulla mancanza di sessappiglio dei giocatori degli anni ottanta, ma sul suo contrario, ovvero sul modo in cui i giocatori monociliati potessero essere considerati sensuali. Proveremo qui a risolvere una simile questione portando alla sbarra dell’estetica tre calciatori: Beppe Bergomi, Pietro Fanna e Giulio Nuciari.
Beppe Bergomi – Il traditore
La parabola monociliare di Beppe Bergomi segna una piccola grande sconfitta per il mondo che non vuole riconoscere la grazia di due ecosistemi separati. Si torni al 1982. Un ragazzo diciottenne ha già una barba da quarantenne e i baffi. Lo Zio, come viene spesso chiamato dal lodigiano Gianpiero Marini (all’epoca mediano, ora broker finanziario), sfoga in esuberanza pilifera la maturità e l’assennatezza che dimostra costantemente dentro e fuori dal campo. Le sue sopracciglia sono monumentali come le frustate di testa di Spillo Altobelli, geniali come i dribbling di Beccalossi e statuari come gli addominali di Collovati. Non sono semplici code di rondine: al contrario, l’arcata sopracciliare sembra non voler riconoscere il concetto stesso di soluzione di continuità. Il suo è un monociglio perfetto, senza sbavature o autogol alla Ferri.
Pochi anni dopo, Bergomi si reinventa opinionista sportivo. I suoi commenti sono di rara puntualità e compostezza. Mai una parola fuori luogo, mai un commento offensivo. Ogni volta che prende la parola, Bergomi sembra scusarsi innanzitutto con il microfono. Insomma, una manifestazione di gentilezza che diventa esangue testimonianza di una personalità flebile. Non a caso, dunque, il debole Bergomi ha tradito: da alcuni anni a questa parte la sua arcata sopracciliare appare ben separata in due strisce ben scolpite ai lati. Un lavoro raffinato per un uomo di spettacolo. Un lavoro raffinato per chi non può più permettersi la virile giovinezza del monociglio.
Pietro Fanna – L’aerodinamico
La storia del calcio ha sempre una buona parola per tutti. Per Fanna la parola buona non era solo una. Tre vocaboli permettevano di descriverne i caratteri: tecnica, velocità e fantasia. Il tutto incorniciato da una pettinatura da chierichetto che tanto faceva impazzire le ragazze dell’Azione Cattolica. Come a tutti i bellimbusti amati dalle giovani cristiane di sinistra, il monociglio donava un non so che di concretamente appetibile. Strizzava l’occhio alla teologia della liberazione e all’anima slava del polacco Papa Giovanni Paolo II. Era la sintesi perfetta dei tratti dell’uomo da sposare.
Ma sul campo non conta la capacità di convincere un po’ di ragazzine ad andare a messa presto e a fantasticare per tutta la domenica pomeriggio sui muscoli un po’ italiani, un po’ slavi e un po’ friulani del giocatore di Grimacco. Contano tecnica, velocità e fantasia. E il monociglio di Fanna era anche questo: una leggera increspatura in mezzo alla fronte capace di oscillare sinuosamente a ogni cambio di direzione e di adattarsi alla brezza presente sul campo. Più che un handicap estetico, un dono di natura che il tornante seppe sfruttare al meglio, non sentendosi mai in colpa del favore che gli dei del pallone gli avevano concesso.
Giulio Nuciari – Il diabolico
L’arcata monociliare di Nuciari è sempre stata così evidente che, chiunque avesse una sua figurina, non poteva non interrogarsi sul mistero racchiuso in quella linea così netta e potente. Osservarla era una pratica ipnotica, soprattutto perché le sopracciglia avevano lo stesso spessore dei baffi. E molti, in quella durezza composita creata dall’arco monociliare, dall’attaccatura bassa dei capelli e dai baffi, vedevano la manifestazione irresistibile dello spirito del Diavolo, decidendo immediatamente di votarsi al satanismo. Questo fu uno dei motivi che spinsero Nuciari ad allontanarsi da Terni e a cercare fortuna in altre città. Purtroppo ogni suo arrivo era accompagnato dall’attracco di una nave (ciò accadde anche quando cominciò a giocare per il Milan) e da un’invasione di topi portatori di peste.
Ora Nuciari assomiglia a un Charles Manson ripulito. Fa il vice-allenatore di Mancini e si è rasato i baffi. I giocatori dell’Inter lo guardano con quel misto di terrore e rispetto dovuto alle grandi icone del calcio, anche se lui, in fondo, è sempre stato solo un buon secondo. Il trucco, forse, è proprio questo. Rimanere nell’ombra, sia da giocatore sia da allenatore. E non depilarsi mai il monociglio: dopo quasi quarant’anni, Nuciari lo mostra ancora orgogliosamente, invitando chi lo guarda a chiedersi quale sia il suo vero volto, quello nascosto dal monociglio o il monociglio stesso. Il segno di Satana.