In principio la maglia è pulita, stirata, intonsa. A volte è appesa dentro un armadietto, altre è piegata professionalmente dal magazziniere sulla panca dello spogliatoio. L’etichetta riporta l’avviso per i lavaggi ad alta temperatura: 100% poliestere, lo stesso materiale di cui sono fatte le pellicole cinematografiche. Anche se, inizialmente, dal tessuto sintetico non sembra provenire alcun odore, man mano che ci si abitua al vuoto olfattivo alcune particelle portatrici di una fragranza che miscela l’effluvio della plastica a quello della vaniglia si fanno sempre più percepibili, ricordando vagamente l’essenza che permeava i giocattoli negli anni ottanta. Quando il calciatore la indossa prima della partita, la maglietta entra in contatto per la prima volta con i peli e le cellule – morte e vive – dello strato corneo dell’epidermide. I pori si allargano e la pelle si umidifica, preparandosi alla conoscenza del loro compagno di viaggio: il sudore.
All’interno della retorica guerriera e martirologica di cui allenatori, calciatori e dirigenti si riempiono la bocca, per cui in campo ci vogliono “undici leoni” e il segreto del successo è “lavoro, lavoro, lavoro”, si inserisce quasi naturalmente anche il tema del sudore. Il giocatore deve “sudarsi la maglietta” per dimostrare di avere dato tutto. Agli ultimi Europei Gigi Buffon, che utilizza spesso simili espressioni per le sue solenni dichiarazioni pre- e post-partita, dopo la qualificazione agli ottavi parlava di “sudare le sette camicie se si vuole arrivare fino in fondo”. Dopo l’eliminazione ai rigori con la Germania, invece, asseriva affranto di come la squadra avesse speso “fino all’ultima goccia di sudore”. Sudare purtroppo non era bastato per passare il turno: ciò che era sfuggito a Buffon (e a tutta la squadra) era che il sudore non è necessariamente indice d’impegno o di una buona prestazione. È un processo naturale elaborato dall’organismo per espellere liquidi, sali minerali e altre sostanze in eccesso. Inoltre ha la preziosa funzione di abbassare la temperatura corporea quando l’organismo si surriscalda eccessivamente.
Ciclicamente, a seconda del periodo, il sudare o il non sudare di un calciatore è stato associato ad alcune teorie piuttosto strambe. Ad esempio, negli anni ottanta si sparse la voce che il Micoren, farmaco di cui si abusava nel mondo del calcio, facesse sudare abbondantemente; i sospetti di doping quindi caddero su quei giocatori dotati di una secrezione massiccia. Negli anni novanta, invece, successe l’opposto: gli indiziati erano quelli che sudavano poco (che finivano la gara senza fare fatica, e quindi senza sudore, in quanto dopati). Altre bizzarre storielle, vagamente razziste e completamente infondate dal punto di vista scientifico, affermavano che gli uomini di colore sudassero di più rispetto ai bianchi. Si sosteneva che il metabolismo degli africani fosse diverso e che le loro secrezioni aumentassero proporzionalmente alla loro prestanza fisica. Tali congetture, di solito, si esaurivano sui banconi dei bar, tra una birra e una nocciolina, quando si iniziava a discutere di dimensioni del pene e di altri luoghi comuni relativi ai giocatori di colore.
Chi sicuramente fu oggetto di questi dibattiti fu il sierraleonese Mohamed Kallon, che militò in diverse squadre italiane. Molti ricordano ancora le luccicanti gocce che solcavano il suo viso d’ebano a Milano, a Reggio Calabria, a Vicenza, a Cagliari e addirittura a Bologna, dove disputò la miseria di due incontri. Dopo l’esperienza italiana, la natura itinerante della sua carriera portò Kallon a “bagnare” diversi continenti: oltre l’Europa, anche l’Asia (Cina e Arabia Saudita) e l’Africa (la sua Sierra Leone). Ovviamente il suo sudore nulla aveva a che fare con la positività al doping rilevata nel 2003.
Tutti i calciatori sudano durante la partita, alcuni però danno prova di “grande attaccamento alla maglia” rendendo la casacca madida di sudore fin dai primi minuti dell’incontro – e, in rari casi, addirittura prima dell’inizio. Sono calciatori evidentemente soggetti a una sudorazione eccessiva legata a variazioni idiosincratiche del loro metabolismo. Prestigioso rappresentante di questa categoria fu il campione francese Zinedine Zidane. Memorabili i suoi sforzi con la maglia bleu della nazionale, la quale talvolta era già visibilmente chiazzata nel tunnel degli spogliatoi. Se riprendessimo le registrazioni televisive delle partite giocate dalla nazionale francese tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, ci accorgeremmo, infatti, che la superficie sintetica blu elettrico presentava qua e là alcune aree più scure di un caldo blu marino, anche se le macchie cambiavano molto velocemente in funzione della diffusione del sudore, che prima assaporava timido il tessuto della maglietta e poi lo aggrediva con bordate di liquido. Durante l’inno si assisteva all’assalto finale: i pori della sua pelle, aprendosi all’unisono per l’ultima offensiva, sembravano seguire il testo de’ La Marsigliese: “Andiamo figli della patria, il giorno della gloria è arrivato!”. Così Zizou muoveva solo le labbra, in un playback timoroso e imbarazzato attraverso cui provava inutilmente a controllare la secrezione sudoripara del proprio corpo.
A proposito di fantasisti, un altro fuoriclasse del sudore è Antonio Cassano. Fin da quando era ragazzo, nonostante fosse ancora agile e senza pancia, il sudore è sempre grondato abbondantemente lungo il corpo. Ancora oggi, le gocce che si formano tra la sua capigliatura e la fronte scendono a valle come l’acqua dei fiumi dalle montagne. Scorrono lungo le tempie, superando di slancio le guance e gocciolando copiosamente sul collo oppure bloccandosi nei solchi provocati da una devastante acne giovanile. Con il passare degli anni, le secrezioni di sudore di Cassano sono aumentate in maniera direttamente proporzionale alla crescita del peso. Già a Roma si poteva osservare il rosso della divisa diventare granata scuro; a Madrid, invece, il “blanco” dei Galacticos “appiattiva” cromaticamente eventuali sudorazioni eccessive, rendendo il processo di secrezione solamente intuibile dal volto paonazzo e dalla maglietta che aderiva sempre più al corpo in evidente sovrappeso. Per sua sfortuna la parentesi spagnola non fu molto lunga: il giocatore barese tornò così a vestire magliette colorate (ad eccezione di quella del Parma), che indicavano con maggiore facilità le variazioni cromatiche del sudore.
Negli ultimi venti anni, in cui il calciatore medio si è trasformato in una specie di vanesio impomatato e glabro, il sudore è diventato un pericoloso nemico che rischia di rendere vane le numerose ore passate dal parrucchiere e dall’estetista. Alcuni giocatori, come il talentino di Frattamaggiore Lorenzo Insigne, hanno deciso di radersi anche i peli delle ascelle nella speranza di sudare meno. Cristiano Ronaldo, invece, usa creme per la pelle e gel fissanti per impedire alla sua abbondante sudorazione di rovinare il suo volto da copertina con il fastidiosissimo effetto lucido. Nel 2008, così, il fromboliere di Funchal accettò di buon grado il regalo dei compagni del Manchester United, che gli consegnarono un intero armadietto pieno di deodoranti di marca al fine di aiutarlo a fronteggiare la battaglia contro i cattivi odori provocati dall’eccessiva sudorazione.
Ma, paradossalmente, la sudata più impressionante della storia del calcio è avvenuta fuori dal campo, a opera del bomber uruguagio Walter Pandiani. Ai tempi della sua militanza nell’Espanyol, durante una conferenza stampa durata otto minuti, riuscì a bagnare una camicia intera. Mentre Pandiani rispondeva alle domande dei giornalisti, sulla camicia si sviluppava una specie di test di Rorschach; numerose macchie mutavano in tempo reale forma e posizione, fino a modificare integralmente il colore della camicia. Anche in campo l’attaccante è sempre stato un grande sudatore: ogni volta che esulta dopo un gol, si toglie la maglia e mostra un corpo così madido che sembra cosparso di olio. La sua performance davanti ai microfoni rimane, tuttavia, l’esempio più fulgido di cosa voglia dire versare “fino all’ultima goccia di sudore”.