La mamma era in cucina, il papà al lavoro. Niente urla oggi, pensò il piccolo Pilli, il bambino magico dalle ali invisibili e i poteri speciali in grado di renderlo onnipotente e onnivedente. Un calcio dei suoi poteva far saltare in aria un quartiere, bastava che aggiungesse al calcio un suono fatto con la bocca simile a un’esplosione e tutto poteva distruggersi.
Una volta, mentre sua madre appendeva i vestiti bagnati sullo stendipanni, fu costretto ad usare una piccola parte delle sue magie per salvarla dalla caduta di una canottiera appena pulita sul pavimento. La canottiera era infilata in una federa e la mamma, distratta, non si era accorta che, a tradimento, il tessuto stava per toccare terra. Ma Pilli si era lanciato sul pavimento consapevole della traiettoria della canottiera e, dopo averla protetta dallo sporco, l’aveva riconsegnata, tra mille complimenti, alla sua mamma imprudente.
Bravo Pilli!
Pilli sapeva di essere solo un bambino e non era ancora pronto per le grandi avventure. Gli dispiaceva solo che i suoi genitori non avessero i suoi poteri perché davvero proprio non lo capivano. A volte, la notte, prima di addormentarsi, sperava chiudendo gli occhi di non diventare grande come loro, che erano grandi sì, ma non come voleva lui. Il suo desiderio era diventare grande come una montagna piuttosto o una statua di quelle che stanno al centro delle città, per proteggerle, però magari una statua viva in grado di muoversi e dare dei pugni fortissimi, per fare del bene però.
“Bravo Pilli!” Ma stavolta il complimento aveva un’altra voce. “Bravo Pilli!”
Pilli si guardò intorno, nella stanza non c’era nessuno, solo gli scatoloni del trasloco, da cui facevano capolino i cavi della macchina del papà, i rotoli di carta igienica e due maschere di asinello (o cavallo?). Chi gli stava dicendo “bravo”? Non che non gli facesse piacere, certo, ma la voce era di un uomo e sua mamma, come tutti sapevano, non era un uomo, al contrario era una donna. La differenza stava nel fatto che a lei non piaceva il calcio e al papà sì ma non lo seguiva. Lui doveva essere sicuramente più uomo di suo padre perché invece a lui il calcio piaceva parecchio, lo seguiva e ci giocava, anche se aveva sempre paura che, giocando a pallone, rischiasse di rivelare ai suoi compagni la forza incredibile del suo calcio.
Si sentiva libero di usare la forza tremenda come preferiva, ma solo se era da solo, mai in presenza di altre persone che non fossero sua madre. Aveva accettato la presenza di sua madre solo perché passava molto tempo in casa con lei e non poteva nascondersi. Comunque sua madre era sempre stata gentile perché non gli aveva mai fatto domande segrete sulla sua magia potentissima. Solo “Bravo Pilli”, qualche volta, a volte senza motivo.
“Bravo Pilli!”
Di nuovo la voce lo sorprese. Da dove viene? Chi mi dice bravo? Decise di usare il super udito e si concentrò chiudendo gli occhi e allargando le braccia tenendo i pugni chiusi pronti a entrare in azione, non si sa mai.
“Sei veramente un bravo bambino, Pilli!” La voce veniva da uno scatolone. Pilli si affacciò, senza paura. Si alzò in piedi un uomo di colore nero, anziano e ben vestito con la faccia simpatica. Aveva un pallone in una mano e un cellulare nell’altra. Pilli quasi diventò piccolissimo per lo spaventò, sentì di dover scappare da qualche parte, ma non riuscì a muoversi né a parlare. Quel vecchio misterioso che si nascondeva nella scatola però sorrideva, non smetteva mai di sorridere, anzi rideva proprio.
“Rido per farti capire che non ti farò del male, Pilli. Ma tu lo sai che io sono buono, sento che tu lo senti.” Pilli credette che le parole di questo visitatore così strano in effetti potessero essere sincere e, respirando con più calma, cominciò a tornare il vero Pilli, coraggioso, straordinario, fortissimo.
“Chi sei tu?” riuscì a sussurrare.
“Io mi chiamo Pelé e se non hai mai sentito parlare di me è solo perché i tuoi genitori non condividono con te il loro tempo e i loro ricordi. Ma tuo padre e tua madre sanno bene chi sono. Ti dovrei dire che sei troppo piccolo, ma non si è mai troppo piccoli per conoscere Pelé.” Emerso del tutto dallo scatolone, si spostò al centro della stanza e, dopo aver riposto il cellulare in tasca con cura, iniziò a palleggiare con abilità, ridendo molto tra sé e sé.
Pilli era impressionato, pensò quasi di chiamare sua madre nell’altra stanza per mostrarle le qualità del suo nuovo amico, ma non era uno stupido, sapeva che era esposto a due pericoli: uno, che la mamma potesse vedere questo anziano signore che palleggiava e che quindi chiamasse la polizia o si spaventasse moltissimo, in entrambi i casi interrompendo questo momento molto divertente; l’altro, che la mamma in realtà non vedesse affatto quell’anziano signore palleggiare e che quindi questi fosse solo un suo amico immaginario. Meglio non preoccupare nessuno e continuare a guardarlo palleggiare.
“Oh come vorrei palleggiare come te!” non riuscì a trattenersi Pilli.
“Bravo Pilli!” scoppiò in una risata Pelè.
“Ma palleggiare non è importante, questo lo possono fare tutti, e per essere Pelé è troppo tardi per te, mi dispiace, lo sono già io prima io di te, ma tu potrai essere Pilli se vuoi.”
“Io sono già Pilli.”
“Tu?” si fece improvvisamente serio Pelé, “Tu non sei che un inutile verme.”
Gli occhi di Pelè avevano perso ogni luce. Pilli si prese un altro spavento perché il tono del signore era diventato velenoso in un attimo. D’istinto gli venne da indurire i pugni e prepararsi a colpire. Per fortuna, Pelé tornò bonario e divertente e scoppiò di nuovo in una risata, forse ancora più forte delle precedenti. Proprio non riusciva a fermarsi: “Sto scherzando Pilli, sapessi che faccia che hai fatto.”
Ma Pilli non era convinto. Stava pensando davvero di chiamare la mamma a questo punto. Allora Pelé, che invece stava davvero scherzando, gli si accostò dolcemente con il più largo dei suoi sorrisi, gli occhi sinceri.
“Ascolta Pilli, voglio che tu sappia che io ho un umorismo molto particolare, perché sono brasiliano. E sono un brasiliano particolare. Sai da dove vengono i brasiliani?” Pilli non rispose, ancora non del tutto sedotto.
“Pilli, i brasiliani vengono dal Brasile”. E rimasero in silenzio per alcuni minuti, scambiandosi uno sguardo curioso e pieno di colori, finché Pilli non cedette e gli mostrò i denti, concedendogli senza parlare la sua amicizia.
“Bravo Pilli!” disse con una voce bassa e serena l’anziano signore portandogli un dito sul naso per farlo ridere.
“Perché non mi fai vedere quanti palleggi sai fare?”, gli chiese poi. Pilli non se lo fece ripetere due volte e strappò con forza il pallone dalla presa del suo anziano amico, che sorpreso dalla foga del bambino sorrise ma lo avvertì: “Se lo avessi avuto tra i piedi, non saresti riuscito a portarmelo via così”.
Pilli iniziò a palleggiare, collo del piede, coscia, testa, spalla, tacco, come mai era riuscito a fare prima d’allora. Dieci, cinquanta, cento, duecento, cinquecento palleggi. Pelé li contava uno per uno e Pilli era incredulo. Forse erano i suoi superpoteri. O magari quelli del suo nuovo amico?
“Bravo Pilli! Vedi com’è bello il calcio? Senti il pallone come sale e scende, fa parte del tuo corpo, non ha segreti, ha lo stesso sangue che scorre dentro di te, è un organo esterno, un organo esterno, Pilli.” Il bambino però ascoltava senza capire, rapito. Al palleggio numero novecentonovantanove, Pilli era una maschera di sudore e soddisfazione, la tensione gli paralizzava i pensieri e la cadenza di Pelé era il suo unico legame con il mondo, tutto era perfetto, tutto era giusto. Ma poco prima del millesimo tocco, Pelé fece uno strano movimento con i piedi e lo atterrò con un piccolo sgambetto, impedendogli di colpire la palla.
“E mille!” rise senza controllarsi l’anziano signore, aggiungendo non senza una punta di rimprovero,“Sei davvero una persona avida, Pilli! Il calcio è divertimento! Non è raggiungere risultati altisonanti o rotondi, magari per raccontarlo agli amici!”
Ma Pilli era così contrariato e deluso per il dispetto di Pelé che si mise a piangere. La mamma dalla cucina sentì suo figlio lamentarsi e lanciò uno stanco richiamo, il solito: “Tutto bene Pilli?”, senza affacciarsi. Pelé sibilò: “Dille che va tutto bene.” Pilli affranto, dopo qualche esitazione, si convinse a riprendersi un momento e poi a rispondere che tutto andava bene, qualche attimo prima che la mamma venisse di persona a vedere cosa stesse succedendo.
“Lei non può capire. Tu questo lo sai, vero?” disse Pelé ancora con il pallone del millesimo palleggio in mano. Pilli però capiva, aveva capito. Non poteva essere che così come diceva lui. Se la mamma fosse stata davvero interessata si sarebbe affacciata dalla cucina. E invece era solo un modo per far finta di essere presente. Non le piaceva il calcio, non capiva.
Pelé sì, questo signore amava il pallone come lui. Erano così diversi eppure così uguali. Entrambi potentissimi, ma Pilli non aveva mai incontrato un mago più potente di lui. Perciò doveva rispettarlo, imparare quello che c’era da imparare e, appena possibile, forse un giorno lontano, eliminarlo.
Pelé vide la luce che rischiarava il viso di Pilli. Che luce bellissima! Che viso tranquillo!, pensò Pelé tra sé e sé, prima di dirgli la vera ragione della sua visita:“Devo dirti il motivo per cui sono venuto qui, Pilli.”
“Non sei venuto per giocare con me?”
“No Pilli! Ho giocato perché il pallone è la cosa più bella del mondo e tu devi impararlo, tu come tutti i bambini che incontro nei miei viaggi, ai quali faccio provare il palleggio e le emozioni di stare con me.”
“Vai a trovare tutti i bambini?”, aggiunse deluso Pilli. “Pensavo che fossi solo amico mio.”
“Ma io sono amico tuo. Non posso essere solo amico tuo perché ho già tanti amici e sono abituato ad accettare l’amicizia di tanti altri bambini, perché il futuro del pallone è questo, passare dai bambini e dar loro un pallone tra i piedi.”
“Che bello Pelé essere tuo amico!”
“Sì, ma non tutti capiscono questo.” e instantaneamente Pelé tirò fuori il cellulare che aveva nascosto nel taschino prima, per palleggiare, si chinò verso Pilli e gli disse: “Ecco. Siamo al dunque. Stai a vedere.” Attivò così, con grande facilità, un programma per vedere i filmati sul cellulare.
Pilli, emozionatissimo, guardò la pubblicità di una marca di telefoni in cui il protagonista sembrava proprio il signore che era lì davanti a lui, del quale ormai sentiva di essere diventato amico. La pubblicità mostrava, tra le altre cose, questo signore nell’atto di una rovesciata.
“Bravo Pelé!” disse Pilli.
“Sì io sono bravo davvero! Ma questo non sono io.”
“Come, non sei tu?” Pilli sembrava confuso. Pelé prese un po’ di fiato prima di rispondere, con il dito nodoso ancora sospeso sul tasto di interruzione del filmato, senza avere neppure la forza di premerlo, però.
“No, no, schifosi bastardi, non sono io. Guardalo bene! Riguardalo se necessario, tu dirai sempre che sono io e invece no! Non è Pelè, è…” la rabbia crescente non gli consentì di arrivare in fondo alla frase con un respiro solo e finì per dover riempirsi i polmoni di nuovo prima di concluderla “…un attore! È un attore! Un pagliaccio! Un pazzo che sembra me! Ma senza nominarmi mai, senza dire di essere Pelé… e sai perché piccolo verme? Perché non sono io! E volevano farla franca!”
Pilli non aveva neppure fatto caso al “piccolo verme” pronunciato dal suo nuovo amico, ormai non sapeva come mai, ma sentiva di conoscerlo come le sue tasche, era fatto così, si arrabbiava un po’, non ce l’aveva con lui. E comunque aveva ragione! Una pubblicità in televisione aveva usato un signore che gli somigliava tantissimo… e lo stesso Pilli ci era cascato! Non si fa così, soprattutto a un uomo anziano.
“Pelé…” disse Pilli con tono comprensivo “tu hai ragione, devono avere rispetto per te. Non possono prenderti in giro… e poi hanno preso in giro anche me perché ci sono cascato.”
“Credi anche tu che ci abbiano preso in giro, Pilli?”
“Sì, Pelé. Non volevano dire che eri tu e invece eri tu. Ma perché non lo hanno chiesto a te?”
“Perché? Perché si vergognavano, forse. Vogliono male a Pelé, a Pilli e al calcio!”
“Bisognerebbe dare a questi qui una lezione!” aggiunse con forza Pilli, stringendo i pugni. Pelé, vedendo questa reazione, per poco non si commosse, lo abbracciò forte e con la voce rotta dall’emozione, si rivolse a lui quasi con un moto di gioia.
“Grazie Pilli! Non c’è bisogno di usare la tua forza straordinaria! Sai perché? Perché farò loro causa in tribunale e chiederò trenta milioni di risarcimento! Anche perché io ho già accordi con Procter&Gambles, Emirates e Volkswagen e i diritti di immagine bisogna tutelarli perché poi vanno a svalorizzarsi. Capisci, Pilli?” Pilli, emozionato, annuì.
“E poi ricordati una cosa, Pilli. E’ inutile che usi i tuoi poteri con i pugni, perché è sufficiente la tua forza qui!” e gli posò due dita sul petto.
“Qui dentro, Pilli, c’è la forza di una montagna che nessun vento può spostare.”
“Come le statue che non si possono rompere nemmeno quando c’è il temporale?”
“Sì, come una grande statua di pietra viva, il tuo cuore è grande. Tu oggi mi hai dato la prova che guardando questo vecchio pagliaccio sullo schermo anche un bambino lo avrebbe scambiato per me. Perciò vincerò la causa certamente e mi dovranno pagare.”
“Davvero sono stato bravo, Pelé?”
“Sì, Pilli, hai fatto una cosa straordinaria. Non ti dimenticherò mai. E ora io ne farò una per te. Chiudi gli occhi.”
Ma cos’era questo baccano? La mamma lasciò le pentole insaponate nella bacinella e decise di andare a vedere cosa stesse facendo il suo bambino.
“Vermicellino! Vermiciattolino! Cosa combini?”
Ma nella stanza non c’era nessuno. La finestra era aperta, quella peste era sgattaiolata via! “Lo sapevo che era un piano troppo basso, ma quel porco che mi sono sposata la voleva qui, vicino a quella troia di sua madre, maledetto lui, lei e che il diavolo se li prenda tutti. E ora, chissà dove, starà facendo a botte con gli altri bulletti del quartiere. Che vita orrenda, che incubo. Ormai quel verme non si raddrizza più.”
Ma se solo la mamma avesse guardato davvero fuori dall’appartamento al primo piano, avrebbe visto qualcosa di incredibile, che avrebbe spento ogni parola e ogni pensiero di rabbia. Presto o tardi, si sarebbe affacciata. E l’avrebbe vista, l’enorme statua di Pilli, illuminata da un fascio di sole rosso come il cuore di un bambino o come un palloncino o come un cappellino, con il pallone di pietra attaccato al piede.
Lo sguardo sereno, fiero, orgoglioso, i pugni chiusi, un paio d’ali invisibili dietro la schiena. E un’iscrizione, sotto il suo corpo massiccio.
“Puoi fare mille palleggi, ma il pallone è uno solo. Per sempre grato, il tuo amico Pelé.”