Pubblichiamo la prima di una lunga serie di candidature alla presidenza della Fifa in vista delle elezioni che si terranno a febbraio del 2016.
Buonasera a tutti, o buongiorno se siete dall’altra parte del mondo.
Parlo a tutti voi a nome di quanto c’è di più caro: il pallone. Io sono stato sempre chiamato Pelé e così mi conoscete, ma non sono mai stato Pelé né ho mai pensato di esserlo davvero, anche quando tutti, ma proprio tutti, mi chiamavate così. Forse anche il pallone è uno pseudonimo, un nome finto e posticcio e goffo e buffo. Forse è un modo per renderci più simpatica una febbre, un’ossessione, un virus che ha infettato me e voi. E forse voi a causa mia. La mia grande fortuna è che quelli che mi hanno visto giocare dal vivo sono sempre di meno o sono abbastanza vecchi da non risultare più credibili. Le statistiche parlano per me, ed è un bene, perché io quando parlo faccio molta confusione. Quindi voi conoscete uno con un nome che non esiste, intorno a cui avete creato una leggenda che non conoscete fino in fondo e che non avrete mai le prove per verificare. Anzi vi dirò di più: non avrete mai alcuna voglia di verificarla, la leggenda, non avrete mai la pazienza di controllare la verità dietro i numeri che per mia fortuna continuano a stordirvi, disorientarvi e quindi convincervi. Quindi io non sono Pelé, non lo sono mai stato ma ho calciato quello che voi chiamate pallone, approssimativamente, per più di mille volte oltre la linea della verità.
Ho un grosso problema e voi forse conoscete questa mia fragilità molto più di quanto abbiate mai avuto la curiosità di vedere un mio gol.
A proposito di gol, anche io vado su YouTube e mi vergogno della pessima qualità dei filmati che raccontano le mie gesta. Tutto ciò che rimane in testa a un ragazzino di dieci anni a cui un nonno vuole far vedere i gol di Pelè (che, ribadisco, non mi rappresentano e in cui non mi identifico) è un signore piuttosto goffo con un grosso torace che solleva le braccia al cielo, sorride come se fosse il suo compleanno e saltella abbracciato da sconosciuti. Ma questa è un’altra storia, un’altra vicenda, non sono qui per questo.
Il motivo per cui ora provo a parlare direttamente con voi, non come Pelè ma come Edson (che come tutti sanno ma omertosamente tacciono è il mio vero nome) è che ho un grosso, grossissimo problema. Io non riesco a ritirarmi dal calcio. Io non riesco ritirarmi a vita privata. Io odio la mia vita privata e per questo ho accettato qualsiasi genere di incarico pubblico che provenisse dal mio paese, dalla FIFA, dall’UNICEF, dal Live aid, dall’ONU e perché no, anche dal WWF. Sono anni che faccio il testimonial, l’ambasciatore, l’ospite d’onore, estraggo palline dalle urne, esibisco sorrisi spensierati, faccio del bene generico e non ben specificato. Eppure quando si parla di me è sempre e solo per via delle brutte storie su mio figlio o dei miei rapporti con il mio amico Diego Armando Maradona. A proposito di Diego Armando Maradona, a me ha sempre fatto ridere il suo secondo nome. Armando. Armando. È proprio così che io immagino Maradona. Tutti i giorni, felice, grasso, amato e che urla da un balcone con vista splendida sul mare, in beata solitudine, il suo secondo e vero nome: Armando. È del tutto inverosimile che Diego Armando Maradona abbia mai speculato sul mio nome, come sento di escludere che lui pensi a me con la stessa costanza, lo stesso calore, che io ho per lui.
Ma ho divagato ancora, devo tornare al mio problema. Vedete, faccio confusione, ma mentre la faccio sorrido, ho quello sguardo perso, dolce che desidera e ottiene sempre la consolazione di un vostro commento benevolo. Ho 75 anni e non sono morto. In passato mi sono fidato di amici che mi hanno tradito. Ho sofferto la solitudine di un passato non condiviso e in gran parte figlio dei tempi. Ora però è arrivato il momento in cui il sorriso che conoscete deve tramutarsi in una ferrea e serrata espressione di autorevolezza e in uno sguardo fermo, rasserenante e consapevole di chi ha trovato la risposta ai miei e a vostri problemi. Io in questo momento ho sonno ma resto sveglio perché finalmente ho deciso di annunciare al mondo la mia candidatura a presidente del pallone.
Sì, ho molte idee per convincervi della bontà della mia candidatura, ma stasera non ve le dirò anche perché ho il sospetto che a voi basti non vedere più quelle brutte facce tristi da burocrati politici assiderati dal denaro e dalle bugie. Quando sarò presidente voi non ve ne accorgerete nemmeno, mi siederò su una poltrona comoda, rilassante, prenderò decisioni pensandoci a lungo e chiedendo consiglio soltanto a Dio. Sotto la scrivania io avrò un pallone e lo accarezzerò sotto la suola mentre firmerò il mio discorso inaugurale.
In breve, però, mi piacerebbe dirvi che il calcio così com’è non può che trionfare. I calciatori sono persone genuine, gli arbitri sono severi ma giusti, i guardalinee sono umili operai al servizio della verità e l’area di rigore sarà un luogo in cui le leggi che già ci sono saranno effettivamente applicate senza guardare in faccia a chi cade e a chi reclama. Cari amici, caro Armando, la mia ricetta per un calcio felice è semplice: alzare le mie possenti braccia al cielo, saltellare in mezzo a voi e farmi abbracciare da sconosciuti, io sconosciuto.
Firmato Edson (Pelè, 1284 goal)