Eravamo stanchi.
Pizzul e Mazzone non c’erano già più. Non c’erano tute criogeniche che potessero rigenerarci, né diete personalizzate che ci potessero far continuare fino a 40 anni.
Capimmo che dovevamo, che eravamo costretti a fare qualcosa. Non sopportavamo più i titoli in prima pagina con i giochi di parole. Non facevano ridere.
Non ne potevamo più dei nostalgici della poesia nel calcio, né dei moralizzatori del calcio malato.
Eravamo malati.
Malati di pallone. Capimmo che non era il pallone ad essere malato ma tutto il resto.
Il pallone non era cambiato troppo, nonostante i CR7 e gli Jabulani.
Erano le parole a essere tutte sbagliate. Erano sempre le stesse da alcuni anni, e noi le odiavamo. Odiavamo ripartenza, non capivamo come potessero esserci gol imparabili e parate impossibili, e tuttavia non ci dispiaceva affatto l’uso frequente di patron.
Avevamo sempre amato, in silenzio, la barba al palo.
I terzini, un tempo con la loro fisionomia ed alopecia, erano diventati esterni, bellocci e pettinati. Questo era troppo.
Eravamo furiosi.
Poi ricordammo il gol senza scarpa, la scarpa nera obbligatoria. Un’inquadratura appannatissima di Garella e un genio senza parastinchi, coi calzettoni alle caviglie. Ci sembrò di rivederlo, forse per caso forse per disegno preciso, magari in provincia, magari in piccoli magrebini stempiati dalla nascita, magari nuovi profeti.
Non volevamo disseppellire nessuno, nessuna grande penna del passato.
Costruimmo un mausoleo, questo sì. Scintillante e immutabile, per il pallone: sarebbe stato là, nel caso lui o noi alla fine fossimo schiattati. Avrebbe offerto a tutti quei malati come noi un rifugio sicuro in cui covare il pallone, in attesa di rinascere.
Iniziammo a tradurre le parole, parole diverse, di posti lontani.
Visitammo le tombe dei forti. Qualcuno bofonchiò Babangida, un altro borbottò Boranga.
La polvere correva e si contorceva sulla precisa lastra di pietra dove, quando sollevammo il plaid, ci si rivelò lui, raggomitolato, gli occhi intatti, le sopracciglia nere.
Cominciammo a scrivere.
Pronunciammo il nome:
Valderrama.