“E’ inutile illudersi che ti possa nascere un figlio calciatore.
Mio figlio è andato alla Juve perché era un predestinato.”
Alfredo Iuliano
“Il calcio è letteratura e filologia. È vero, è anche scandalo, però non ci si può limitare soltanto a quello”. Parola di Alfredo Iuliano, padre dell’ex difensore della Juventus Mark e cronista da molti anni. “Un tempo i grandi giornalisti rappresentavano con un senso letterario le figure dei calciatori. Parlavano di sport, nel senso più puro del termine. Mario Soldati, Gianni Brera (che era più che un giornalista), Moravia e Pasolini contribuirono a spiegare il calcio in termini più profondi di quanto si faccia ora”. Nella storia di Alfredo e Mark Iuliano il calcio è soltanto uno sfondo del racconto di un padre e di un figlio, un rapporto che va oltre i risultati e le statistiche degli almanacchi sportivi. “Ho 65 anni e vivo con l’assegno di povertà in attesa della pensione”, racconta Alfredo. “Sono sempre stato un precario. Avevo un lavoro solido in passato. Ero un chimico dell’Enel e lavoravo in laboratorio. Quando mio figlio Mark ha fatto carriera ho mollato tutto e l’ho seguito”.
Alfredo comincia dall’inizio, da quando spingeva il piccolo Mark a cimentarsi in diverse discipline sportive: “Mio figlio era bravo in tutti gli sport. Oltre al calcio gli ho insegnato il tennis, l’hockey a rotelle e la pallavolo. Ha fatto anche gare di atletica, come la corsa campestre. Il fisico lo ha aiutato, certo, ma c’ero anche io che gli facevo da personal trainer. Gli ho spiegato tutti i segreti del calcio. Gli esercizi fisici che vanno di moda oggi Mark li faceva già trent’anni fa. All’inizio non avevamo nemmeno un campo di calcio, ci allenavamo sulla terra battuta e sul cemento. Ho sviluppato molto la sua forza muscolare. Gli ho fatto scalare montagne intere, letteralmente. Lo allenavo a stoppare la palla a 30, 40 metri. Mark stava al muro giornate intere per migliorare la tecnica. Gli ho insegnato a calciare i cross a fare i rinvii. A volte ci mettevamo anche due ore per farli perché doveva calciare il pallone da una porta all’altra del campo. Mio figlio ha imparato a giocare a Campagna, un paesino di circa 20.000 abitanti, vicino alla nostra casa a Sicignano degli Alburni, in provincia di Salerno. Dirigevo io la squadra del Real Campagna e ha giocato con me dai 6 ai 15 anni compiuti. In seguito lo portai alla Salernitana a fare il provino”.
Mark comincia a giocare nelle giovanili della Salernitana, poi in prima squadra. Alfredo continua a fargli da guida e, a volte, anche da medico: “Un giorno, quando giocava nella Salernitana, ed era ancora giovane, mio figlio tornò a casa con il medico sociale, Palumbo. Aveva quaranta di febbre e le tonsille gonfie. In quel periodo si preoccupava del fatto che i dirigenti avevano intenzione di comprare un altro terzino più vecchio di lui e più collaudato. Per questo motivo voleva assolutamente giocare la domenica successiva. Ricordo di averlo fatto sedere su una sedia. Era giovedì. Gli ho aperto la bocca e con un cotton fioc gli ho pulito tutta la gola dalle placche batteriche. Poi gli ho somministrato una sola siringa di antibiotico per disinfettare l’infezione. Mentre dormiva, mi sono avvicinato e gli ho toccato la fronte. Erano le due di notte. Mark non aveva più la febbre. Alle dieci del mattino del giorno dopo l’ho riconsegnato al campo di allenamento in perfetta forma. Palumbo mi guardava con sospetto”.
Nel 1996 Mark viene acquistato dalla Juventus. Vi rimarrà per otto anni. Alfredo ricorda ancora il passaggio di suo figlio ai bianconeri: “Sono andato a Napoli a casa di Luciano Moggi. Dovevamo concordare il trasferimento di Mark alla Juve. Mio figlio aveva firmato già un pre-accordo con l’Inter. Luciano quando lo viene a sapere mi dice: ‘Non preoccuparti adesso chiamo io, che la campagna dell’Inter la faccio io’. Chiama al telefono Sandro Mazzola davanti a me e gli dice: ‘Iuliano lo prendo io e in cambio ti mando un giocatore affermato’. Mazzola accetta senza problemi. Così all’Inter arriva Galante. Luciano conosceva bene il valore di Galante e quello di Mark. Moggi per anni ha fatto la squadra dell’Inter”.
Le parole di Alfredo sono piene d’orgoglio. Se Mark è arrivato a giocare per uno dei club più importanti al mondo è anche grazie agli anni di lavoro passati insieme al padre, che ne ha plasmato il fisico e la testa. “Se Mark fosse arrivato a Torino nel settore giovanile non sarebbe diventato il Mark Iuliano che abbiamo conosciuto. Si sarebbe bruciato. Non avrebbe mai fatto tutta la trafila che ha percorso accanto a me. Ho costruito in lui una personalità che purtroppo non aveva già dentro di sé. Gliel’ho inculcata. La sua bravura non era il risultato di un talento naturale. Il suo dono era la capacità di essere poliedrico in tante discipline sportive. Mark è un ragazzo molto intelligente, ma senza carattere”.
Alfredo segue Mark a Torino e inizia a lavorare per il club: “Quando Mark era alla Juve collaboravo con Pasquale Gallo, che era un procuratore. Tra me e Moggi nacque subito una grande amicizia. Ho condiviso diversi anni con Luciano. Ho fatto l’osservatore fino a quando lui non è stato cacciato. La mia attività per la Juve consisteva nell’andare a visionare i ragazzi. L’ho sempre fatto con grande passione e praticamente gratis. La Juve mi dava 4.000 euro all’anno”. In realtà il vero lavoro che Alfredo svolge a Torino è quello che fa da sempre: il padre. Aiuta Mark nella quotidianità: “Gli ho fatto anche da maggiordomo a casa. Cucinavo per lui, per Montero e per i suoi amici. Lui ovviamente badava economicamente a me”.
Arriviamo al 26 aprile del 1998 e al contatto in area bianconera tra Ronaldo e Iuliano durante la partita scudetto Juventus-Inter. Le immagini fanno il giro del mondo. Giornali, televisioni e tifosi non parlano d’altro. “Il rigore era rigore. I giorni successivi li abbiamo vissuti un po’ male. Alcuni tifosi erano arrivati al mio numero di telefono. Molti interisti incazzati mi chiamavano per insultarmi. Ho anche tanti amici interisti, e all’epoca non sono stati molto gentili… Diversi anni dopo ho incontrato Simoni, quando era team-manager del Gubbio. Ho sempre fatto il cronista per diverse testate locali e gli chiesi un’intervista. Lui mi rispose: ‘Se mi dici che era rigore ti concedo l’intervista’. Simoni è un grande personaggio”. In quel periodo Mark comincia a giocare anche in nazionale. Partecipa agli europei in Olanda, persi in finale con la Francia, e ai successivi mondiali in Corea agli ordini di Trapattoni. Nel 2000 il Presidente della Repubblica Ciampi gli conferisce il titolo di cavaliere del lavoro.
Nel 2005 Mark va a Maiorca. In Spagna rimane solo sei mesi, e Alfredo gestisce il suo rientro in Italia: “Nell’ufficio del procuratore Oscar Damiani, in piazzale Loreto a Milano, ho condotto io stesso la trattativa per il passaggio di Mark dal Maiorca alla Sampdoria. Eravamo io, Damiani e Marotta”. Sono gli ultimi anni di carriera. Mark ormai non è più ragazzo, è un uomo. Milita in diverse squadre: ancora al Maiorca, poi Messina e infine al Ravenna. Anche nei momenti più difficili il legame tra Mark e Alfredo sembra oltrepassare ogni ostacolo.
Nel 2008 però qualcosa si spezza. Il primo giugno di quell’anno si affrontano Cesena e Ravenna, entrambe già retrocesse. È una di quelle partite che si potrebbe anche non giocare, un po’ come le finali terzo e quarto posto dei mondiali o i triangolari estivi con gli shootout. Invece si gioca e soprattutto gioca Mark. Forse questo è l’unico motivo di interesse della sfida. È la sua ultima partita nel Ravenna, forse della sua carriera. Deve essere una festa e invece Mark viene squalificato per due anni. Il referto dell’antidoping parla di positività alla cocaina. “Mio figlio non fumava neanche una sigaretta e non beveva alcol. Quel giorno, mentre stavo seduto sul divano in attesa che in televisione si parlasse del ritorno di Lippi alla guida della nazionale, Studio Sport apre con la foto di mio figlio e la notizia che è stato trovato positivo ai metaboliti della cocaina nella partita più stupida della sua carriera. Una partita che non contava nulla tra due squadre retrocesse. Sono stato molto duro con lui. Non sono stato comprensivo perché non meritava comprensione. Gli sono stato sempre vicino e lui me l’ha fatta dietro le spalle. Non l’ho tollerato. Se mio figlio fosse stato un semplice operaio e avesse fatto una rapina io gli sarei stato vicino sempre e comunque. Ma a un uomo che ha guadagnato miliardi di lire e che è cavaliere del lavoro…
Al di là dei titoli onorifici e dei trofei conquistati sul campo, dopo le fatiche che abbiamo fatto insieme, dopo i sacrifici che io ho fatto, le rinunce, non ho potuto sopportare il tradimento della fiducia. L’ho allenato e gli sono stato a fianco. Quando si è operato per gli infortuni ha sempre visto me vicino. In ogni situazione. Sono un padre che non tollera che un figlio che ha legato il suo destino con quello della Juve, si mischi alla droga. L’ho attaccato duramente e lui mi ha tolto il saluto e la paternità. Da un anno a questa parte mi ha anche querelato per diffamazione. È stata l’ultima vergogna. Un padre non si querela. Ad un padre bisogna volere bene anche se è un mascalzone”.
Alfredo fa nomi e cognomi. Accusa Michele Padovano, ex collega nella Juve e grande amico di Mark, colpevole secondo lui di avere condotto il figlio verso la droga. “Quella volta che Padovano venne a casa mia con il sacchettino da pusher francamente ho avuto paura. Non potevo immaginare che portasse dell’hashish e della coca. Fatto sta che poi origliai quando Mark e Padovano si chiusero a chiave in stanza e sentii dire ‘Mark questa è buona, la prende pure Bachini’. Quando nel 1989 morì Bergamini fui mandato per la rivista Sport Sud a cercare notizie su quello che era successo. Si parlò di suicidio ma molti già allora sospettavano della criminalità organizzata. Alcune voci tiravano in causa anche Padovano, che come Bergamini giocava nel Cosenza. Io a mio figlio ho sempre detto, quando frequentava Padovano nella Juve: ‘Ricordati che Padovano è sempre un sospettato. Quindi guardati da lui’. I recenti fatti che l’hanno visto coinvolto in uno spaccio internazionale di hashish dimostrano che non avevo torto”.
Le ultime riflessioni di Alfredo lasciano aperta la speranza che prima o poi lui e Mark, il padre e il figlio, ritornino a parlarsi e a ricordare i tempi in cui ogni sfida era affrontata insieme, fianco a fianco: “Sono il primo tifoso di mio figlio. Adesso che vince come allenatore della primavera del Latina tifo per lui e resto deluso quando perde. Io sono un padre. Ma bisogna mettersi nella mia situazione. Ho avuto un figlio che era un campione ma che è finito con la droga. Non sono un puritano ma certe regole vanno seguite. Doveva onorare la sua storia, la sua provenienza, la sua origine. Prima di tutto è il figlio di Alfredo Iuliano, non di uno qualsiasi. L’ho portato dove nessuno avrebbe potuto perché il suo talento l’ho costruito io. Poi però si è perso. Lui è il ragazzo più buono del mondo ma le sue debolezze sono anche il suo limite. Forse ho una sola colpa: per orgoglio non ho cercato di recuperare il rapporto con lui e non gli ho fatto capire che non avevo particolari interessi da un punto di vista economico. Non ho mai chiesto nulla. Io ho avuto in famiglia due decorati in guerra, mio nonno e mio padre. Siamo persone che hanno avuto un certo prestigio, guadagnato con l’umiltà e la lotta. Io ero dirigente di Democrazia Proletaria. Sono un rivoluzionario d’indole. Gli Iuliano hanno un nome. E mio figlio ha fallito”.
Mark Iuliano è stato un grande difensore. Non ha avuto la stampa favorevole di cui godevano altri grandi centrali di quegli anni. Iuliano non era considerato come Cannavaro, Nesta o Montero. Tuttavia ha giocato stagioni intere allo stesso livello di questi campioni idolatrati da tutti. Faceva parte della grande scuola dei difensori italiani degli anni Novanta. “Mark ha segnato il gol scudetto a Bergamo, nel 1997. Nel centesimo anno della Juventus. Mio figlio è l’uomo che ha consegnato ai bianconeri lo scudetto del centenario. Noi possiamo anche essere empirici e razionali ma credo che il destino ci sia. Qualcosa di inafferrabile per la mente umana. Mark arriva da Campagna dove non c’era neanche una scuola calcio e fa il gol del centenario. E’ stata veramente una favola. Una bella favola”.