All’indomani di Germania-Italia 4-1, un famoso scrittore napoletano intravede una luce in fondo al tunnel
“Per chi passa la propria esistenza sotto scorta, la vita è un ricordo lontano che ogni tanto squarcia il buio dell’esistenza. Ieri sera, insieme ai ragazzi che da anni mi proteggono, stavamo tornando esausti da una serata in cui mi è stato assegnato un importante premio letterario. Verso le nove e mezzo ci siamo fermati in un Autogrill, di cui non posso rivelare l’ubicazione. Non posso permettermi troppi lussi, e ormai ho perso il conto dei Camogli gommosi con cui ho cenato.
Seduto al mio tavolino, immerso nei pensieri, a un tratto mi sono accorto che in televisione trasmettevano una partita di calcio: l’amichevole Italia- Germania, 46 anni dopo quel famoso 4-3 di cui mi parlava sempre mio padre quando ero bambino e lui mi portava a comprare le mozzarelle di Bufala a Battipaglia. Una partita che da sempre ha messo di fronte la spregiudicatezza latina all’organizzazione teutonica. Da ragazzo col pallone tra i piedi me la cavavo, ma non come con le parole: tra Maradona e Céline ho scelto quest’ultimo. Negli ultimi tempi ho preso le distanze dal calcio violento che sempre più spesso è ostaggio della criminalità, ma guardando quella partita ho subito notato una cosa: quelli allegri, vivaci e compatti erano i tedeschi. I nostri ragazzi, cresciuti nell’Italia devastata dal berlusconismo e dalle mafie, non sapevano più ridere. Nei loro volti leggevo quelli di aspiranti partecipanti al Grande Fratello, della manodopera criminale di Scampia. Dove sono finiti i volti vitali descritti da Pasolini? Dove sono i Ciro Ferrara, gli Antonio Schillaci (in realtà Salvatore, detto Totò ndr) che hanno fatto sognare la mia generazione?
Spariti, in un vortice di polemiche, paure e corruzione che ha trascinato nel baratro anche il nostro sport più bello. Facce nervose, espressioni litigiose, palesi manifestazioni dell’incapacità di mettersi d’accordo su cose semplici come una rimessa laterale o una legge sulle unioni civili. Il calcio è davvero lo specchio del paese reale. Addentavo svogliato il mio Camogli finché, durante un’azione di contropiede, mi si è parato davanti agli occhi un giocatore che fino ad allora non avevo notato: basso, bruno, fisico da pescatore, come quelli da cui andavamo a comprare le spigole a Posillipo. Palla al piede ha seminato il panico tra i giganti della difesa tedesca. Buttato a terra da un difensore, il ragazzo non ha recriminato, ma si è rialzato, incoraggiando i compagni a non mollare e mettendosi a correre verso la difesa.
Ho chiesto a uno dei ragazzi della scorta chi fosse quell’apparizione. Lorenzo Insigne, un napoletano come te, anzi di Frattamaggiore, mi ha detto. Prima di aggiungere mesto, con quell’espressione al contempo paziente e rassegnata che ho imparato a conoscere nel corso di 500.000 chilometri percorsi insieme: “l’unico italiano del Napoli”. E allora lì ho capito, io che pure il calcio lo seguo solo distrattamente, che la speranza può giungere solo dalle zone più martoriate del Belpaese, tra quei giovani cui la Camorra non lascia alternative allo spaccio e alla violenza. Quell’uomo dal nome promettente può riportare l’Italia tra le grandi del suo sport, ma soprattutto farle ritrovare l’orgoglio. Perché c’è una cosa che solo io e pochi altri possiamo capire, perché Lorenzo è un ragazzo di Frattamaggiore come mio padre. Un territorio simbolo della lotta alle mafie, dove alcuni non si arrendono alla legge dei boss e trovano la speranza nello sport e in una vita semplice. Scopro che Lorenzo è uno di loro, uno che ha sposato la fidanzata di sempre, Genny, che il tempo libero ama trascorrerlo in famiglia, protetto dall’affetto dei suoi cari e di amici puliti come il barista Salvatore, il tatuatore Lello e i parrucchieri Vincenzo e Giuseppe.
E allora mi chiedo, perché la Federazione calcio non trasferisce i suoi uffici a Scampia, o anche solo a Frattamaggiore? Perché i partiti che si riempiono la bocca di citazioni del mio Gomorra non creano una squadra di Serie A fatta solo di giovani del sud? Forse sarebbe più comodo tacere ma lo scrivo forte e chiaro perché la mia voce possa arrivare a milioni di coscienze. Mi accuseranno di sognare, di prendere idee in prestito da altri. Poi di aver inventato, perché ciò che scrivo è troppo perfetto. E a voi tutto questo non sembra l’ennesimo, furbo (ma poi nemmeno tanto) modo per delegittimarmi?
Ma non è il momento delle recriminazioni. Il Camogli oggi è meno insapore, il calcio un rito meno barbaro. Forse anche nel pallone, così spesso snobbato da miei sedicenti colleghi che, al contrario di me, disprezzano le manifestazioni della spontaneità popolare, può trovarsi una verità. Anzi, una speranza.
Si è fatto tardi, i ragazzi mi fanno cenno di andare. È meglio che non mi trattenga mai troppo in uno stesso luogo. Saprò solo l’indomani che l’Italia ha perso per 3-0 (in realtà 4-1 ndr). Ma c’è il tempo per un ultimo sguardo agli occhi assetati di futuro di Lorenzo, figlio della Terra dei fuochi, futuro dell’Italia e mio conterraneo”.