Nel 2005 Sebastian Giovinco era la stella della primavera della Juventus e indossava la maglia numero 10. Tra il 2005 e il 2007, nella squadra in cui militavano anche Marchiso e a De Ceglie, ha vinto il Torneo di Viareggio, il campionato, la Coppa Italia e la Supercoppa di categoria. Coperto di elogi e trionfi, con indosso quella maglia e quel numero, il Giovinco della primavera era considerato un grande fantasista in divenire. Il futuro, però, avrebbe presto smentito quelle lusinghiere premesse, e quella maglia bianconera sfoggiata con orgoglio in tenera età non sarebbe mai tornata. Arrivato nel calcio dei grandi, infatti, Giovinco ha dovuto cambiare posizione. Il motivo, tanto semplice quanto impietoso, è stato ribadito fino alla nausea nei suoi primi anni nel calcio professionistico: “non tiene botta” fisicamente, è una questione di fisico o almeno di fisica nel senso di baricentro. Tenere un giocatore che cade facilmente sulla trequarti o nel cerchio di centrocampo rende ogni ripartenza degli avversari potenzialmente letale. Meglio spostarlo in zone più sicure. Forse per questo motivo Cagni a Empoli lo ha impiegato come esterno a sinistra, prima che nelle fila di Juve e Parma trovasse un ruolo che sarà definitivo, la seconda punta, ma che Giovinco non considererà mai davvero il “suo”. Anche perché, generalmente, la seconda punta non ha diritto di prelazione sul numero 10.
Senza la maglia promessa, Giovinco sembrava dover perdere anche l’attenzione del calcio che conta. Fino a quando, per qualche imperscrutabile motivo, ha trovato un ammiratore inaspettato. In un’intervista nel 2007 Antonio Conte, allora allenatore del Bari, non nascose la sua ammirazione: “Giovinco possiede la dote più bella del calcio: l’uno contro uno. Salta l’uomo, è veloce, la manovra diventa coinvolgente. Vedendolo, mi viene in mente Leo Messi, il folletto argentino del Barcellona. Stesse movenze, rapidità d’azione. Un po’ ricorda anche Sergio Aguero, che ha segnato l’altra notte con la nazionale. Sono quei giocatori che fanno la fortuna di un allenatore”. Il dieci è un’altra cosa (anche se Messi e Aguero lo hanno strappato alla logica più per assenza di alternative che per altro) ma la stima di Conte era un ottimo premio di consolazione. Sarà proprio Conte, infatti, l’artefice del ritorno di Giovinco alla Juventus nel 2012 dopo il biennio in Emilia con il Parma, e sarà ancora Conte a richiamarlo in Nazionale, a oltre un anno dall’ultima convocazione, nella prima partita da ct disputata contro l’Olanda nel settembre del 2014.
Giovinco ha sempre avuto una buona tecnica. Ma il dieci è un’altra cosa. Il dieci è il colpo inaspettato, la firma riconoscibile, il prestigio che riempie gli occhi. Giovinco invece quando segna su punizione colpisce la palla di piatto a giro per scavalcare la barriera nel sette, da manuale del calcio. Nessuna “maledetta”, nessun tocco di mezzocollo per far cambiare traiettoria alla sfera in modo imprevedibile. Tanta qualità, poca fantasia.
Già Cagni era stato chiaro col ragazzo: “Chiuso il campionato con l’Empoli gli suggerii di andare a maturare ancora in prestito da qualche parte ma lui mi rispose che voleva tornare alla Juve e giocarsela”. Alla Juventus per riprendersi quella maglia che tutti dicevano gli spettasse per diritto divino, tanto tempo fa ma nella mente di Giovinco quel tempo non era mai passato. Alla Juventus sarà l’uomo che entra in campo nell’ultimo quarto d’ora quando gli avversari sono stanchi, non si sa mai che la sua rapidità e la sua tecnica impeccabile possano portare a qualcosa di buono. Poche presenze con Ranieri, pochissime nell’anno della coppia Ferrara–Zaccheroni, e il dieci che resta sulla maglia di Del Piero.
Dopo la delusione di Torino Giovinco ha ricominciato la scalata nella bassa padana, a Parma. Lì, lontano dai riflettori e dallo sguardo intransigente dei puristi del calcio, ha giocato titolare e ha indossato la maglia numero dieci. Numero giusto, ma colori sbagliati. In una realtà tranquilla e abituata alla pigra quotidianità, il suo modo di giocare stereotipato e senza troppi colpi di scena e stato scambiato, più per necessità che per virtù, per fantasia. A Parma Giovinco ha fatto quello che Parma, ormai dimenticati i fasti del passato, si aspettava dal giocatore tecnico della squadra: assist, gol, qualche tunnel, se va bene un colpo di tacco e poco importa se cade o perde l’equilibrio una volta di troppo o se ogni tanto non azzecca la prestazione.
Bastava ai tifosi, bastava ai giornalisti, ma non bastava a Giovinco. Colori sbagliati, non era quello che gli avevano promesso. Per questo ha deciso, nonostante i consigli del saggio Donadoni, di riprovarci. Del Piero era appena volato in Australia, Tevez sarebbe arrivato solo la stagione successiva e in panchina sedeva Antonio Conte. Giovinco ha chiesto timidamente la maglia numero dieci. La società però gli ha assegnato la dodici. Anche la protezione di Conte si è rivelata un’arma a doppio taglio, e come le armi a doppio taglio ha fatto più male di tutto il resto. Durante una partita casalinga contro il Chievo Giovinco è stato sostituito al settantaduesimo minuto. Mentre usciva dal campo, schiacciato da quell’anonimo numero 12, l’intero stadio lo fischiava. Giovinco, con l’aria spaesata e la maglia sbagliata, ha chiesto di andare negli spogliatoi, ma Conte ha deciso di sfogare il suo delirio di condottiero proprio su di lui, il suo vecchio pupillo, con un abbraccio che voleva essere protettivo ma è stato umiliante, un urlo spettinato verso la curva e quattro parole di piombo: “qui, devi rimanere qui!”
Il 2 dicembre 2015 Sebastian Giovinco è stato premiato come miglior giocatore della Major League Soccer. Durante la stagione ha segnato 22 gol, indossando la maglia numero 10. Rossa in casa, nera in trasferta.