Alla fine del mese di Maggio 2015, la Federazione calcistica del Giappone ha annunciato che avrebbe giocato le gare esterne contro Afghanistan e Siria valide per le qualificazioni ai Mondiali del 2018 rispettivamente in Iran e Oman. Se per quanto riguarda l’Afghanistan l’Iran rappresenta il vicino geograficamente più accreditato e calcisticamente più organizzato per ospitare nazionali che risentono di gravi problemi interni, capire perché la Siria giochi le proprie gare casalinghe in Oman diventa più complicato.
La situazione della Siria è in questo momento, almeno apparentemente, molto più grave e complessa di quella afghana. La guerra civile dura ormai da oltre quattro anni e gli attori in campo si moltiplicano con il passare dei mesi. Nato con una ribellione interna decisa a rovesciare il regime di Assad (seppur da subito sostenuta da molti stati occidentali) il conflitto ha velocemente segnato il frazionamento del fronte popolare e l’ingresso nel conflitto di parti terze prima neutrali e di potenze straniere interessate all’equilibrio geopolitico dell’area. La fazione più tristemente nota tra quelle in guerra è ovviamente lo Stato Islamico, che governa attualmente un territorio transnazionale non riconosciuto che comprende parte del bacino dell’Eufrate nel nord-est della Siria e parte del bacino del Tigri nel nord-ovest dell’Iraq.
Al momento non vi sono notizie della creazione di una selezione calcistica dell’IS, anzi lo scorso gennaio la visione islamista ultra-ortodossa avrebbe portato i jihadisti a giustiziare 13 persone colpevoli di aver assistito a Iraq-Giordania, valevole per le qualificazioni alla fase finale della Coppa d’Asia 2019 (che con la nuova formula coincidono in parte con quelle per i Mondiali 2018). A Marzo l’IS ha minacciato di punire con 80 frustate chiunque fosse stato sorpreso a guardare Barcellona-Real Madrid, simbolo del vizio occidentale. Notizie non confermate parlano però dell’organizzazione di un piccolo torneo di calcio ad al-Raqqa, la capitale. Il Fronte Al-Nusra è invece un gruppo combattente jihadista affiliato ad al-Qaeda, la cui tattica è quella di apparire più moderato rispetto all’IS e mantenere quindi relazioni con le comunità locali anche non imponendo immediatamente la Sharia. Comunque sia, attualmente non conosciamo il suo approccio al calcio. Entrambi i gruppi appartengono all’area sunnita dell’Islam con i rapporti diplomatici diretti o indiretti che ne conseguono (Arabia Saudita, Turchia, Stati Uniti).
I curdi (tra cui troviamo musulmani sia sciiti che sunniti, cristiani di confessioni varie, yazidi, zoroastriani, ebrei e altre minoranze) hanno avuto un approdo alla guerra civile completamente autonomo e sui generis. Da tempo le loro principali organizzazioni hanno abbandonato, sulla linea politica del Pkk turco, la rivendicazione di un territorio nazionale indipendente, per concentrare invece i propri sforzi nell’autonomia e nell’autogoverno delle regioni curde. La principale tra queste è il Rojava, regione nel nord della Siria contesa alle forze dell’IS. Proprio l’avanzata dell’IS ha costretto i curdi a intervenire direttamente e con tutto il loro potenziale militare per difendere la propria zona di controllo. Infatti sono proprio fonti del Partito Democratico del Kurdistan (che però ha il proprio centro di potere in Iraq ed è l’interlocutore privilegiato dell’occidente) a denunciare ai giornali inglesi le proibizioni sul calcio da parte dell’IS.
Il Kurdistan, comunque, ha una storia calcistica riconosciuta e una sua selezione nazionale, che pure non può essere iscritta alla FIFA in quanto non rappresenta uno Stato riconosciuto. Gioca così il Mondiale delle nazioni non affiliate alla FIFA, e nel 2012 ha ospitato e vinto l’ultima edizione. Tuttavia questa competizione comprende selezioni il cui status politico è assai diverso, dal Kurdistan – che dispone di una lingua, un esercito, un governo e organizzazioni di base – alla Padania, il cui movimento è limitato, per così dire, alla sola sfera “culturale”. Non vi partecipano per esempio selezioni come Paesi Baschi e Catalogna, che giocano invece la Coppa delle regioni UEFA dedicata a formazioni amatoriali.
In ogni caso la geopolitica calcistica fuori dalla FIFA è molto più complessa, poiché le sue organizzazioni sono divise in stati la cui sovranità non è riconosciuta, etnie senza stato, regioni autonome. Va da sé che il Kurdistan potrebbe formalmente aderire a tutte queste organizzazioni e giocare tutte le competizioni di questo tipo. Le scelte fatte da queste federazioni e dalla FIFA stessa sono tuttavia spesso molto complesse. Per fare un esempio il Principato di Monaco è uno stato la cui sovranità è riconosciuta, ma la cui federazione non è affiliata alla FIFA e non può dunque esprimere una nazionale di calcio nelle competizioni ufficiali (pur schierandone una nei tornei extra-FIFA), mentre il club del Monaco gioca extra-territorialmente nel campionato francese. L’esempio opposto è la Palestina, il cui status di Stato sovrano è tuttora conteso (riconosciuta dall’ONU ma come stato non membro, riconosciuta dalla maggior parte degli stati ma non da tutti) ma la cui federazione è affiliata alla FIFA dal 1998 ed ha vinto l’ultima edizione della AFC Challenge Cup qualificandosi così alla Coppa d’Asia.
La nazionale della Siria ha una lunga storia: la Federazione fu fondata nel 1936 e già un anno dopo aderì alla FIFA. Gioca dunque da sempre le competizioni ufficiali per le quali ha diritto, è iscritta o qualificata. Sarebbe ovviamente anche il caso dei tornei che si svolgono in questi anni. Ma come è cambiato il calcio nazionale con il conflitto? La guerra civile siriana ha causato più di 200.000 morti e milioni di profughi, il che significa che è paragonabile come numeri, per quel territorio, all’impatto che ha avuto la Seconda Guerra Mondiale sull’Italia, anni in cui il campionato e tutte le competizioni in Europa furono sospese. Il campionato siriano, invece, non si è mai fermato, e anzi il regime di Assad ha più volte cercato di utilizzare la continuità della competizione come specchio della relativa tranquillità del paese. Il tentativo non è esattamente riuscito e soprattutto non ha avuto buon gioco con chi in Siria avrebbe dovuto recarsi per giocare le qualificazioni ai prossimi Mondiali e alla Coppa d’Asia. Così la diplomazia si è messa al lavoro. L’Iran e la Russia sono alleati strategici del regime siriano, ma evidentemente non si tratta di alleati neutrali quanto piuttosto di parti in causa, più o meno velatamente. Sotto coperta e lontano dalle luci della ribalta si è invece mossa la diplomazia dell’Oman.
Il Sultanato dell’Oman, contrariamente a tutti gli altri stati sovrani mediorientali, non è a maggioranza sciita né sunnita e il suo potere non è espressione di alcuna delle due parti. Anzi, l’Oman è a maggioranza ibadita. Gli Ibaditi rappresentano una particolare “terza via” dell’Islam che, rispetto alle altre correnti minoritarie alternative alle due principali, ha la particolarità di avere una predilezione per la moderazione e il ripudio della violenza (sebbene anche in questo caso esistano alcune derive). Il regime politico dell’Oman non ha dunque alcun interesse a fomentare lo scontro tra sunniti e sciiti nell’area, e anzi ha più volte impersonato il ruolo di mediatore all’interno dei vari conflitti da qualche anno a questa parte. Per questo il ministro degli esteri siriano Walid Muallema si è recato in Oman per parlare della transizione del paese in un contesto che superi la guerra civile. In quest’ottica può essere vista l’ospitalità concessa alla nazionale di calcio siriana che non può giocare nel pur nuovissimo stadio di 50.000 posti di Aleppo, terra di battaglia.
Attualmente la Siria guida il girone di qualificazione a Russia 2018 e Emirati Arabi Uniti 2019 grazie alla vittoria per 5-2 sull’Afghanistan nella sfida giocata al Seeb Stadium di Muscat, la capitale dell’Oman. Pochi giorni prima, nello stesso stadio, gli ospiti d’onore avevano invece incassato tre gol dagli ospiti sportivi giapponesi. Gli afghani erano già stati battuti per 6-0 all’andata, giocata a giugno al Samen Stadium di Mashhad, Iran, una splendida città sulla vecchia via della seta dove si incrociano i confini con Turkmenistan e Afghanistan. Sempre a Muscat, la Siria ha battuto di misura Singapore, prima di volare nell’estremo oriente per battere con un altro 6-0 la Cambogia allo Stadio Olimpico di Phnom Penh. Mattatore dell’ultima partita con gli afghani è stato Osama Omari, centrocampista offensivo ventitreenne dell’Al-Wahda di Damasco. Il più quotato Giappone, che ha già vinto lo scontro diretto, segue la Siria di 2 punti con una gara in meno, ma, mantenendo questo ritmo, la Siria può sperare almeno di entrare, sia per i Mondiali che per la Coppa d’Asia, nel complicatissimo sistema dei ripescaggi e degli spareggi. Tanto complicato quanto il sistema di alleanze e ingerenze in quel crocevia di pallottole che una volta i giocatori chiamavano casa.