Quando arrivò dissero che era un campione. Franco Sensi, nell’anno in cui avrebbe vinto il suo primo e unico e indimenticabile scudetto con la Roma, si era addirittura scomodato con tre miliardi e mezzo di lire per regalare al suo figlio minore, il Palermo calcio, il fratello minore del suo Batistuta, Cristian La Grotteria. Anni dopo, lo stesso Sensi avrebbe confuso La Grotteria con Legrottaglie nel mezzo di un’infuocata trattativa di mercato con la Juventus, ma questa è un’altra storia.
La nostra storia è la storia di Cristian La Grotteria, uno che nel resto d’Italia ricordano in pochi ma che a Palermo ha fatto innamorare mezza città. A dirla tutta questo innamoramento non aveva grande ragione di esistere, ma a Palermo non importava allora e non importa nemmeno oggi. Dissero che era un campione e dissero che il suo soprannome era il Gaucho, ma quel soprannome ci mise poco a cambiare. Prima ancora di mettere piede in campo, La Grotteria diventò il Pampa, poi il Cavallo della Pampa, infine il Cavallo pazzo. Falcata ammaliante, braccia larghe, fiuto del gol. O almeno così si sperava, e in fondo così si ricorda.
Cristian La Grotteria atterrò a Palermo nell’estate del 2000, in un momento in cui lo storico capitano Roberto Biffi diceva addio alla città che lo aveva amato di un amore scriteriato. Se le città hanno un’anima, quella di Palermo è smemorata, irrazionale e infinitamente ostinata nel credere alle sue illusioni. Se non si parte da questo presupposto è impossibile capire il passaggio del testimone tra Biffi e La Grotteria. Biffi giocava a Palermo da dieci anni, aveva causato un’infinità di calci di rigore con interventi scomposti e per molte stagioni aveva tirato tutte le punizioni, da qualsiasi posizione, mentre lo stadio urlava a squarcia gola “Biffi gol Biffi gol Biffi gol”. La storia, quella vera e fredda e bastarda, racconta che Biffi quelle punizioni le ha tirate quasi tutte in curva, con una predilezione per il secondo anello della nord. Ma ai palermitani non interessava, Biffi era l’uomo della botta su punizione, sotto l’incrocio, e da quest’uomo Cristian La Grotteria raccolse il testimone in quell’estate del nuovo millennio. Si pensava che il Cavallo pazzo fosse un fuoriclasse ed è ricordato ancora oggi come un fuoriclasse, e pazienza se è rimasto tre anni, ha segnato poco e ha sbagliato un’infinità di gol davanti al portiere. Biffi la scagliava nel sette, La Grotteria scartava mezza difesa e tirava una bomba sotto la traversa. La Grotteria è megghi ‘i Battissuta.
Nel campionato di serie C1 girone B 2000-2001 La Grotteria segnò appena 4 gol, di cui due nei primi quindici minuti di un Lodigiani-Palermo 1-2, prima di essere sostituito nel secondo tempo causa fiatone incontrollabile. Nel girone di ritorno partì spesso dalla panchina e comunque non segnò mai, mentre il Palermo avanzava a strappi e cadute verso l’incredibile ultima giornata, in cui sconfisse l’Ascoli e venne promosso in B grazie all’imprevedibile (e per molti sospetta) sconfitta del Messina capolista ad Avellino. Quel giorno, mentre lo stadio esplodeva in un delirio mai visto prima e mai ripetuto in futuro, La Grotteria entrò nel recupero del secondo tempo, ma al fischio finale lo stadio urlò comunque il suo nome. Smemorato, irrazionale, infinitamente ostinato. “Salta con noi, La Grotteriiia”.
La corrispondenza di amorosi sensi tra Palermo e l’argentino di origini calabresi, dicono alcuni, ha radici antropologiche e nasce dall’incorreggibile esterofilia dei siciliani, abituati da secoli a vergognarsi (fingendo) delle loro fattezze ed entusiasmarsi (sul serio) davanti a qualsiasi novità arrivata dal mare. Il fatto che dal mare siano arrivati soprattutto per conquistare l’isola – tra un abbellimento e un fraintendimento – non ha mai avuto alcuna importanza. All’alba del nuovo millennio i tifosi del Palermo calcio, da decenni impantanato nelle serie minori, videro in La Grotteria la luce della salvezza. Per capire la forza di questo sentimento basti sapere che alcuni anni prima, quando il leggendario Palermo dei picciotti si preparava a tornare nell’inferno della Serie C, il popolo palermitano si era invaghito di due bizzarri calciatori soltanto perché erano i primi stranieri arrivati dal 1965, anno in cui il Palermo allenato da Čestmír Vycpálek (zio materno di Zeman) annoverava tra i centrocampisti Fausto Pinto da Silva detto Faustinho, 14 presenze e due gol in tre stagioni. Trent’anni dopo arrivarono due girovaghi che rispondevano ai nomi di Abdelaziz Dnibi e Ronald Hoop. Il primo fece in tempo a giocare un’unica partita prima di osservare il Ramadan, scatenare le ire di Ignazio Arcoleo e sparire per sempre (pare abbia avuto qualche problema con un matrimonio interreligioso in Olanda, ma le notizie sono poche e poco attendibili). Il secondo, presentato nell’estate del 1996 come il “Van Basten nero”, ricevette addirittura l’onore di un coro tutto per lui. Lo stadio intero urlava a ritmo di tamburo “Hoop Hoop Hoop” in attesa della giocata, salvo virare sul sarcasmo dopo una serie di prestazioni inguardabili e passare a uno splendido e autoironico “Hoop Hoop Hoop: staminchia!”. Bilancio finale del Van Basten nero: 7 presenze e un gol.
Detto tutto questo, è facile immaginare come un argentino pagato tre miliardi e mezzo e arrivato a Palermo dopo aver soffiato la promozione in B nientemeno che a Baggio (Eddy) abbia fatto sognare un’intera tifoseria. Volendo proprio scendere al livello dei numeri, quello che resta di quel sogno argentino sono 80 presenze e 17 gol in tre stagioni tra serie B e C1. Ma il punto, come già ripetuto fino allo sfinimento, non è questo. Il punto è che Cristian La Grotteria ha conquistato senza alcuna ragione un’intera generazione di tifosi. Grazie a lui una città che aveva dimenticato la sua mediocre storia calcistica ha provato l’inconffessabile piacere di sentirsi (anche qui, senza alcun motivo) parte del grande calcio italiano degli anni novanta, quello delle sette sorelle, delle coppe vinte e dei mondiali affrontati da favoriti e sempre persi ma solo per sfortuna. Nel 2003 La Grotteria se n’è andato a nord. L’anno dopo il sogno palermitano della serie A si è finalmente avverato, ma quel trionfo non era neanche lontanamente paragonabile a quello che i tifosi aveva immaginato. Riviste oggi, le immagini della promozione in A del 2004 impallidiscono davanti alla festa scatenata del 2000, quando il Palermo dei 4 gol di La Grotteria cominciò la lenta risalita e aprì le porte dell’illusione.
Sono passati più di dieci anni dall’addio tra Palermo e La Grotteria. L’ex Gaucho (e Pampa, e Cavallo della Pampa, e Cavallo pazzo e tutto il resto) ha chiuso la sua carriera di calciatore a Bassano del Grappa, dove oggi vive e lavora come osservatore. A Palermo nessuno si è più interessato della sua parabola calcistica, ma nessuno l’ha dimenticato. E il ricordo, incivile e irriverente, è sempre lo stesso: La Grotteria che sgroppa a braccia larghe verso la difesa in ripiegamento, scarta tutti e spara un missile che colpisce la parte bassa della traversa e rimbalza due volte tra la rete e l’erba. Un gol così La Grotteria non l’ha mai segnato, ma non importa. Perché, come disse in tempi non sospetti un vecchio tifoso: “Miccoli è come uno scooter nuovo fiammante guidato con il casco tecnologico e le orecchie di peluche, ma La Grotteria è una vecchia vespa truccata con l’autoradio nel cassetto davanti, guidata senza casco e con la frizione saltata”.