Lilian Thuram: l’attivista

Lilian Thuram: l’attivista
14 Dicembre 2015 Damiano Cason

Il 25 ottobre 2005 Zyed Benna e Bouna Traoré, due ragazzi di 17 e 15 anni inseguiti dalla polizia, morirono fulminati da un trasformatore a Clichy-sous-Bois. Poche ore dopo, appena calata l’oscurità, le auto in fiamme annunciavano l’esplosione della rivolta della periferia francese. Nel giro di una settimana il governo francese dichiarò lo stato d’emergenza rifacendosi a una legge utilizzata nel 1955 durante la guerra d’Algeria. Il ministro dell’interno Nicolas Sarkozy definì i protagonisti della rivolta urbana racaille, feccia. 

In quel periodo Lilian Thuram era uno dei migliori difensori al mondo. La sua Juventus aveva appena vinto 3 a 0 in casa contro il Livorno e continuava la sua marcia da record in Italia, mentre Thuram, che dal calcio aveva già ottenuto tutto, aveva da poco intrapreso un percorso parallelo, quello dell’attivismo politico. Due giorni dopo la vittoria col Livorno prese posizione contro Sarkozy, dichiarando che usare certi termini fosse ingiustificato, che la violenza non è mai gratuita e che prima di parlare di sicurezza bisognerebbe parlare di giustizia sociale. All’offensiva da intellettuale militante del difensore, il ministro replicò con un affondo populista: “Thuram guadagna molto bene, da molto tempo non abita in simili quartieri”.

Una conclusione abbastanza ricorrente per i dibattiti politici, in cui la società francese riconosce ai rappresentanti una superiorità morale inespressa rispetto ai rappresentati. L’istituzione può anche essere al centro della critica quotidiana della società (in quel caso rappresentata dal campione di calcio con una coscienza sociale), ma espressa la critica tutto deve rientrare con un buffetto, perché in caso contrario significherebbe riconoscere una capacità di autogoverno ai rappresentati, il che minerebbe l’autorità dello stato e l’unità della nazione. Soprattutto in un paese come la Francia, dove l’idea di nazione è il cuore propulsivo non solo della politica interna, ma anche di quella estera, e soprattutto del luogo in cui le due istanze si incontrano: l’accoglienza a chi proviene dall’oltremare, per la maggior parte ex colonizzati.

Thuram è nato a Pointe-a-Pitre, Guadalupa, territorio d’oltremare francese situato nelle piccole Antille, Mar dei Caraibi. La popolazione di quest’isola, scoperta da Cristoforo Colombo, è ovviamente il risultato delle politiche coloniali del tardo medioevo, dopo che gli spagnoli cacciarono i Caribi rivendicando il diritto sulle terre del re di Spagna in nome della superiorità che Dio aveva attribuito all’uomo bianco. Oltre a Thuram, anche altri nazionali francesi come Gallas, Henry e Lacazette hanno origini caraibiche.

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Da non molto lontano, la Martinica, veniva Frantz Fanon, di cui Lilian tesse le lodi nel suo libro Le mie stelle nere. Da Fanon Thuram ha imparato che il colono si ciba dell’odio che il colonizzato nutre per lui: “Di fronte all’assetto coloniale il colonizzato si trova in uno stato di tensione continua. Il mondo del colono è un mondo ostile. Di fronte al mondo sistemato dal colonialista, il colonizzato è sempre supposto colpevole, una specie di maledizione, una spada di Damocle. È dominato, ma non addomesticato: è inferiorizzato, ma non convinto della sua inferiorità. Aspetta pazientemente che il colono allenti la sua vigilanza per saltargli addosso. In effetti è sempre pronto ad abbandonare il suo ruolo di preda per assumere quello di cacciatore. Il colonizzato è un perseguitato che sogna continuamente di diventare persecutore”.

La passione di Thuram per le rivendicazioni delle comunità locali, delle minoranze e dei migranti arriva da molto lontano. Nel 2007 si è impegnato assieme al compagno Oleguer nella difesa dell’utilizzo della lingua catalana nel sud della Francia, la zona di Perpignan. Ma l’episodio più conflittuale risale all’anno prima. Thuram invitò gratuitamente allo Stade de France almeno 70 sans papiers (immigrati clandestini) appena sgomberati da alcune case occupate. In questo caso, dunque, diede sostegno diretto a una pratica illegale, scatenando una polemica di portata nazionale.

Nel 2011 Lilian polemizzò duramente contro l’affermazione di Laurent Blanc secondo cui c’erano troppi giocatori africani nelle accademie francesi. Nel dibattito entrò anche Cristophe Dugarry, ex attaccante del Milan e della nazionale, gettando un’ombra sull’attivista Thuram. Dugarry ricordò un episodio risalente al 1998, quando dopo la vittoria della nazionale i giocatori si stavano facendo una fotografia negli spogliatoi e Liliam disse: “Facciamo una foto con solo i giocatori neri!”, con l’altro difensore Leboeuf che avrebbe risposto stizzito “Lilian, che dici… come ti sentiresti tu se noi facessimo una foto tra bianchi?”. Alla provocazione di Dugarry Lilian non rispose, accusando solamente Christophe di aver svicolato dall’argomento delle accademie francesi.

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La non risposta all’attacco ricevuto è la cartina di tornasole di una contraddizione mai risolta: colonizzato o immigrato? Nero o occidentale? Cittadino o banlieusard? Calciatore o intellettuale? Legale o illegale? Lilian sa benissimo che l’esempio di Leboeuf è gretto e stupido: le due foto non hanno la stessa valenza. Secondo Fanon è uno stereotipo bianco che un nero per essere antirazzista debba mischiarsi al bianco. L’uomo bianco acculturato, saggio, illuminista, è abituato a vedere il nero antirazzista mescolato ai bianchi, integrato e civilizzato quanto lui: questa è la sua idea di nero. Non può vedere invece un nero che cerca di vivere tra neri. Non lo può vedere perché è la negazione pura della sua forma particolare di antirazzismo. Perché l’antirazzismo è un’idea bianca ed è il negativo dell’idea bianca fondamentale: il razzismo. Pensieri che Lilian ha sicuramente per la testa, ma che non esprime chiaramente a parole, forse perché anche lui ha di sé stesso la medesima idea che hanno i bianchi. È un antirazzista, si impegna per la causa nel modo in cui lo si può fare nella società francese. Ma dentro di sé sente che non è abbastanza, cerca una casa, cerca un collettivo. Devoirs de mémoires per la tutela della storia dei colonizzati, Collectif Roosevelt insieme a quello Stéphane Hessel che incitò i popoli europei ad indignarsi contro la crisi e da cui presero ispirazione le grandi mobilitazioni spagnole.

Lilian Thuram è nero, ma come sarebbe stato accolto dai banlieusard nel 2005? Soprattutto, come si sarebbe percepito egli stesso? Aveva detto che bisognava parlare di giustizia sociale e non di sicurezza. Ma questo è un discorso da intellettuale occidentale. Lilian l’intellettuale sente di dover dire qualcosa. La banlieue non vuole dire niente. La banlieue accende le macchine e la ribellione. Qualcuno dice che è stato strano non vedere attivisti bianchi in mezzo a quelle strade. I banlieusard seguono i cortei degli studenti di sinistra che chiedono la garanzia dell’istruzione per tutti, ma giunti in piazza li derubano dei portafogli. Probabilmente avrebbero svuotato volentieri anche quello del loro difensore preferito.

Lilian non può rispondere alla provocazione di Dugarry perché è intrappolato nella scelta tra l’attivismo partigiano e la superiorità morale delle sue posizioni, tipica dell’intellettualismo francese. Figlio della Francia, è imbarazzato tanto quanto Dugarry per quella foto tra soli neri. Forse anche la sua immagine di nero è quella di nero in mezzo ai bianchi. L’indecisione è tra il canale tradizionale e la rivolta, tra la richiesta di un colloquio con l’arbitro da parte del capitano e un fallo cattivo restituito all’avversario nell’azione successiva. Una contraddizione che non si può risolvere, come quella di chi fa le barricate ma preferirebbe vedere l’incendio di un tramonto.