Il calcio è una merda, lo sapete tutti. È marcio e corrotto nelle sue fondamenta fin dai tempi di Rimet. L’incalcolabile montagna di denaro che ha generato nel corso del tempo non è servita a renderlo un gioco pulito gestito da un’organizzazione illuminata e trasparente. Ci speravate? La cosa più sorprendente è che ci si continui a scandalizzare per gli abusi di potere, la corruzione, gli orrori e le partite truccate che ciclicamente vengono alla luce. Il calcio è così e non cambierà, fatevene una ragione. E allora perché non mollare il freno a mano degli ultimi pudori perbenisti e a occhi chiusi spingere l’acceleratore al massimo, incuranti dell’imminente impatto contro il muro? Perché non eleggere lo sceicco barheinita Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa alla presidenza della Fifa? Dimenticatevi un nuovo inizio dopo la dispotica deriva della gestione Blatter o una ritrovata verginità: lo sceicco è l’uomo giusto per portare alla mezzanotte l’orologio dell’apocalisse del calcio mondiale.
Salman ha quarantanove anni e una laurea in storia e letteratura inglese all’Università del Bahrein. Nel tanto tempo libero a disposizione guarda le partite di Manchester United e Torino e ama andare a caccia di cinghiali. Dove, non è dato sapere. Avendo fin da piccolo una vaga passione per il calcio ed essendo il cugino dello sceicco autoproclamatosi re del Bahrein Hamad bin Isa Al Khalif, Salman ha scalato in breve tempo ogni posizione di potere all’interno della federazione calcistica barheinita fino a diventarne il presidente. Non soddisfatto ha quindi usato le infinite risorse finanziarie della propria famiglia per farsi eleggere nel 2013 presidente dell’Afc, la Confederazione Asiatica del Calcio. “L’Asia è il futuro” è il motto della Confederazione. Ma il futuro di Salman è invece il trono vacante della Fifa.
“Se un membro della famiglia reale del Bahrein è il candidato migliore che la Fifa riesca a trovare, allora questa organizzazione si conferma come l’accozzaglia di persone con il livello di etica più basso di tutto lo sport mondiale” scrive di lui l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch. Ma cosa avrà fatto di così birichino lo sceicco Salman, oltre ad elargire qualche mazzetta e guardare le partite del Toro? Quando nel 2011 le piazze della capitale del Bahrein Manama si riempirono di manifestanti che chiedevano giustizia, uguaglianza, diritti e libertà, il re scatenò una repressione talmente dura che portò a migliaia di arresti, torture e ad un centinaio di morti. “L’isola è piccola e non si può scappare” ha commentato il monarca. Salman, oltre a squalificare le squadre che avevano chiesto di interrompere il campionato nazionale per motivi di sicurezza, venne messo a capo di una commissione d’inchiesta con il compito di individuare gli atleti coinvolti nelle proteste. I centocinquanta tesserati che fece arrestare vennero interrogati in diretta tv, torturati, condannati ad anni di carcere ed ebbero ovviamente la carriera distrutta.
Fate però attenzione, bisogna scindere bene i piani. Da anni lo sceicco sostiene che la commissione d’inchiesta non è mai stata costituita formalmente e che non esistono documenti ed attività ad essa riconducibili. E soprattutto che tali faccende riguardano il governo e la politica e non hanno nulla a che fare con lo sport. Da quando si è candidato alla presidenza della Fifa ogni giornalista gli fa sempre le stesse domande. Salman deve essersi davvero stufato di continuare a rispondere negando ogni accusa. Lasciatelo lavorare, secondo il suo programma elettorale c’è tanto da fare.
“Ridefinito, ristrutturato e rivitalizzato” sono le parole d’ordine. In primo luogo è importante ripristinare la reputazione commerciale minata dagli scandali della gestione individualistica di Blatter: la Fifa deve tornare ad essere appetibile alle grosse aziende multinazionali che la sostengono. Un calcio finalmente più professionale e meno politico. Per risorgere dalle proprie ceneri l’organizzazione dovrà infatti essere gestita come una società transnazionale, dove l’interesse primario dovrà essere quello di colmare le quattordici posizioni degli sponsor principali, divise in due fasce di importanza. Perché ciò avvenga c’è bisogno di stabilità e crescita. La stabilità sarà garantita dalla conferma delle controverse assegnazioni dei Mondiali a Russia e Qatar. La crescita sarà invece garantita dall’allargamento dei mercati grazie anche al numero sempre maggiore di squadre che parteciperanno alla fase finale di ogni Mondiale: dalle 32 attuali si passerà alle 40 del Mondiale qatariota e così via. Grazie a questa promessa lo sceicco ha conquistato i voti decisivi di Africa e Asia.
La Fifa e il calcio non hanno bisogno di una rivoluzione, devono solo essere ri-pensati, ri-posizionati e ri-energizzati. Ma per questo c’è tempo. Per ora vi basti sapere che lo sceicco Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa lavorerà alacremente a questo scopo senza ricevere alcun compenso per il suo incarico di presidente. “Sono già molto ricco, sono incorruttibile” ha ammesso per smarcarsi dagli scandali della precedente gestione. Il sogno è avere un Mondiale ogni due anni, o magari ogni estate, in cui tutte le squadre del mondo, senza bisogno di estenuanti gironi di qualificazione, possano contendersi l’agognata Coppa del Mondo. Se si potesse, per motivi di sponsor e sicurezza, sarebbe bello giocare sempre in Qatar, dove si può sempre istituire una commissione d’inchiesta se qualcosa dovesse andare storto. L’acceleratore è al massimo e gli occhi chiusi non permettono di capire a che distanza si trovi il muro. È quasi mezzanotte e l’unica certezza che avete è che l’impatto ci sarà. Ma che bella brezza però.
Ecco cosa pensa di Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa il più grande ambasciatore mondiale del calcio, Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé: