A inizio anni ottanta un virus si diffuse silenziosamente nel mondo del calcio. La gente, distratta da Drive In e occupata a inseguire il mito di uno stile di vita cafone e di successo, inizialmente non si accorse di nulla. Il virus non trovò ostacoli, individuò una breccia nell’inscalfibile fisico nervoso e ossuto del calciatore professionista e vi si insinuò perniciosamente. Per prima cosa sciolse le croste di sudore mischiato a fango formatesi sulla casacca attillata, poi superò la folta peluria e si insediò sotto la pelle rovinata e inspessita dal sole. Una volta entrato in contatto con il sangue, ne modificò irrimediabilmente il DNA. A quel punto era già troppo tardi. Nessuna medicina poteva più funzionare, nessuna cura poteva essere trovata. Il virus pubblicitario trasformò per sempre l’aspetto del calciatore che gradualmente, ormai corrotto, subì una metamorfosi irreversibile. Sotto la pressione di contratti sempre più succulenti, manovrato da intraprendenti creativi pubblicitari il giocatore barattò la sua immagine in cambio di assegni a sei zeri.
Nel 1985, quando il campione bavarese Karl-Heinz Rummenigge sposò la causa del formaggino Grunland pronunciando la storica frase “Anche a me piace il formaggino d’oro Grunland, che formaggio ragazzi!” anche i più distratti capirono che non si poteva più tornare indietro. Sul televisore, tra aranciate esagerate, cuori di panna, caramelle alla frutta e tartufoni, gli dei del calcio avevano iniziato a recitare il loro ruolo nel racconto estetizzante e consumistico del processo pubblicitario.
Latte Spondi – 1983
Quello del latte Spondi con protagonista il giovane attaccante della Cremonese Gianluca Vialli è uno dei primi spot italiani con un calciatore. Il filone pubblicitario dei prodotti alimentari che propongono una vita sana punta da subito forte sul calcio. Chi meglio di un atleta può garantire la qualità di un cibo o di una bibita? Un impacciato Vialli beve un bicchierone di latte accompagnato da un convincente jingle musicale che scimmiotta Battiato. In seguito corre nel bosco, va in bici con la sua ragazza e la domenica segna in campo. La tecnica pubblicitaria è ancora primitiva, gli effetti speciali puerili e il budget a disposizione probabilmente irrisorio.
Negli stessi anni Baresi sponsorizza la bevanda degli sportivi per antonomasia, il Gatorade. Platini in uno spot francese sorseggia felice a canna un bottiglione di Fruité, gustoso succo di frutta zuccheratissimo venduto oltralpe.
Lancia Y10 GT – 1989
“Y10 piace alla gente che piace”. Questo è il motto edonista dello spot Autobianchi. L’azienda automobilistica si affida a uno dei più grandi campioni dell’epoca per promuovere la nuova Y10 GT: Ruud Gullit. Il target da raggiungere è quello dei ragazzi dinamici e delle giovani donne. L’olandese è il testimonial perfetto per entrambe le categorie: potente ed esotico, vincente ed erotico. Lo spot gioca però la carta dell’ironia: mentre sotto la chioma al volante dell’utilitaria tutti si aspetterebbero una vecchia zia, ecco comparire l’inconfondibile Ruud. “Quando parte lui, con la criniera al vento, è come se squillassero le trombe dell’Apocalisse”, dice Arrigo Sacchi. Anche alla guida della Y10 (che all’estero si chiama Lancia Y10), per qualcuno è naturale. L’anno successivo l’azienda ingaggerà l’impomatato e meno esotico Stefano Tacconi.
Sega – 1991
I bambini amano i calciatori e i calciatori amano i bambini. Nei primi anni novanta i calciatori iniziano a essere i protagonisti di numerosi spot per bambini e adolescenti. Per il mondiale in Italia, ad esempio, la Ferrero lancia il concorso “Vinci Campione”, in cui Vialli, Ruben Sosa, Dunga, Tacconi, Gullit e Matthäus compaiono nello spot della celebre casa dolciaria negli spogliatoi assieme ad alcuni minori. Impensabile una tale intimità nella pubblicità di oggi. Lo spot della Sega coinvolge invece Mancini, Zenga e Lentini. Un futuristico palazzo creato al computer ospita i tre calciatori in tre loculi separati a giocare coi videogiochi. Sono vestiti e pettinati come bambini. Il ruolo dell’adulto è affidato a Jerry Calà, che guarda le partite e scappa sul cornicione per fuggire dal ritorno anticipato di un marito cornuto.
Intesa – 1994
Oltre alle pessime doti attoriali di Franco Baresi lo spot di Intesa presenta altri elementi interessanti. La differenza tra la vita del calciatore e quella dell’uomo comune comincia a essere molto più marcata che in passato. Il giocatore non viene più rappresentato solamente come un simpatico e beota sportivo ma come l’uomo di successo, benestante, con una casa da sballo, profumato da fragranze francesi e felice. Irraggiungibile per il consumatore comune. Il quale può solo sognare l’orgia finale che la pubblicità sembra suggerire. Due anni dopo, nel ’96, Badedas sceglie Weah come protagonista della sua campagna pubblicitaria. Nello spot, che si svolge in un ristorante di lusso, il bomber africano è nudo, muscoloso, glabro e bramato delle donne. La strada verso la creazione di giocatori top model è ormai spianata.
Nike – 1996
Non servono molte parole per descrivere il celebre spot Nike. Tra quelli che hanno come protagonisti i calciatori è il più iconico di sempre. Il bolide di Cantona ha fatto la storia della televisione. I giocatori sono diventati divi del cinema. La pubblicità è ormai adrenalina, effetti speciali spettacolari, esplosioni e tanti tanti soldi. Au revoir! vecchio bicchierone di latte Spondi.
Motorola – 2009
Il corpo nudo. Perfetto. Tecnologico, non umano. David Beckham, basta il nome. Il calciatore è diventato marchio di se stesso.
Fly Emirates – 2014
Siamo ormai ai giorni nostri. Il degno erede di Beckham è senza dubbio Cristiano Ronaldo. Gli sceicchi non badano a spese, nel calcio come nella pubblicità. L’aeroplano è esagerato, c’è un bancone lounge e divanetti eleganti. Un perfetto CR7 si fa addirittura la doccia in aereo. Una musica che è la copia insipida di Shostakovich fa presagire un’orgia in stile Eyes Wide Shut. E invece ecco un bolso Pelè e uno sketch terribilmente macchinoso. L’ostentazione del lusso e della ricchezza ormai serve solo a marcare l’incolmabile differenza di classe tra lo spettatore e gli dei.
Oggi i calciatori pubblicizzano qualsiasi cosa, indistintamente. Ronaldo “il fenomeno” gioca a poker on-line, Ibrahimovic va a caccia di alci con la sua Volvo, il solito Cristiano Ronaldo affronta la forfora a bordo di un’auto sportiva decapottabile. Nel giro di tre decenni, il mondo della pubblicità e quello del calcio sono cambiati molto. Il rapporto che li unisce si è invece saldato sempre di più, a tal punto che le due sfere sono diventate una cosa sola. Più i seggiolini degli stadi si avvicinano al campo e più le televisioni offrono agli abbonati immagini ravvicinate in alta definizione (addirittura spiando i giocatori nei cessi degli spogliatoi), più l’immagine dei calciatori offerta dalla pubblicità si allontana da una qualsiasi connessione con la realtà. Il calciatore, da eroe popolare, epico e mortale, si è trasformato in un modello irraggiungibile di perfezione e successo: un adone glabro, profumato, tecnologico, amico dei bambini e sogno erotico degli adulti. Una sagoma immateriale che si nutre voracemente del nostro desiderio.