Insegna la tradizione calcistico-natalizia italiana che il rituale consumo del panettone è il primo, irrinunciabile atto che un allenatore deve compiere nel suo lungo viaggio verso la salvezza o verso la gloria. Un dolce per aver salva la carriera e la vita, un trofeo invernale a base di acqua, farina, burro e tuorlo d’uovo la cui paternità si contendono l’intrepido Ughetto degli Atellani e l’arrivista Toni, sguattero al servizio di uno dei cuochi di Ludovico il Moro.
C’è stato un tempo, non molto tempo fa, in cui il panettone splendeva nel cielo del pallone e bruciava nello stomaco degli allenatori di successo come una palla di fuoco e di gioia. Per gli altri, quelli che si fermavano a pochi passi (o a molte settimane) dalla tavola imbandita, era un miraggio candito di dolore e rimpianto. La guerra per il panettone mieteva vittime illustri. La bocca asciutta era un’umiliazione da affrontare per mesi, nel buio di una villa di periferia con i muri alti e i cani da guardia, unici compagni nei giorni del fallimento e dell’abbandono.
Oggi le cose sono cambiate. Il panettone lo mangiano quasi tutti, il suo entusiasmante gusto di trionfo è diventato un sollievo appena percepibile. È con questo spirito disincantato che passiamo in rassegna le panchine di bassa classifica di questa povera serie A.
ATALANTA: Stefano Colantuono, la cui boccia lucida ricorda l’involucro curvo che protegge la freschezza dell’agognato dolciume, viene da quattro panettoni consecutivi, tutti consumati sotto lo sguardo benevolo della figlia di Iasio. Quest’anno però la squadra arranca. Peggior attacco del campionato con appena 5 gol all’attivo, Boakye improbabile e improponibile capocannoniere con 2 gol, Denis mollato dal fisico e dal fiuto e gli altri che non vedono mai la porta. La classifica dice che il baratro è vicino, vicinissimo. Eppure la panchina di Colantuono, che in carriera di dolci spugnosi ne ha saltati solo due, non sembra particolarmente a rischio. Panettone? Finché la difesa tiene è quasi garantito, ma sarà comunque duro da mandare giù e con pochi canditi.
CAGLIARI: A Zeman si dà fiducia, in Zeman si crede. Qualcuno lo fa per convinzione, qualcun altro per non macchiarsi di lesa maestà. In ogni caso è sempre meglio lasciarsi coglionare dal boemo che essere costretti a credere in Papadopulo. Nella carriera di Zeman, infarcita di entusiasmanti goleade ma anche di dolorosi esoneri, spicca l’allontamento dalla panchina del Lecce nel 2006, proprio alla vigilia di Natale. Stabilire se l’allenatore abbia o meno compiuto il rito del panettone è questione molto filosofica e poco calcistica. Così, d’acchito, propendiamo per il sì, perché qualche morso uno lo piazza sempre, tra un pastorello e un festone. Quest’anno, comunque, non sembrano esserci particolari problemi. La squadra gira a fasi alterne come tutte le squadre di Zeman, i giovani emergono come tutti i giovani di Zeman e il Cagliari sembra avviato (sulle montagne russe) verso la salvezza, più per sensazione condivisa che per matematica. Panettone? Meglio un mirabolante Tartufone, con balli, canti e smoking bianco.
EMPOLI: In quasi venticinque anni Sarri non ha mai poggiato le terga su una panchina di serie A. Da settimane mangia cantucci e vin santo alla domenica per preparare lo stomaco al trionfo natalizio. Intanto il suo Empoli è l’Empoli di sempre: mezza squadra di giovani promettenti in prestito e mezza di vecchi mestieranti e cariatidi eccellenti. Gioca un tempo come fosse una grande (perché è in effetti la giovanile delle grandi) e l’altro come la più terrorizzata delle neopromosse. Il buon Sarri sembra l’uomo giusto al posto giusto, e mentre pregusta il suo meritatissimo panettone probabilmente pensa già alla schiacciata con l’uva del prossimo settembre. Sarà in serie A o in serie B? In fondo non cambia nulla.
PALERMO: Prendi la bandiera e guarda dall’altra parte, atto secondo. Nella città che fu abbagliata brevemente dall’indifferente classe di Javier Pastore, non c’è nient’altro da segnalare oltre all’amore dei tifosi per Iachini (unico gol con la maglia del Palermo il 4 settembre del 1994, nel pareggio casalingo contro la Fidelis Andria alla prima di campionato) e la solita incognita sugli umori di Zamparini. Il presidente è il gemello brutto di Zeman. Lo si disprezza un po’ per convinzione e un po’ per moda, ma sempre meglio uno che compra dieci argentini al mercato invernale di uno che vende Diamanti in Cina. L’allenatore invece pare bello sicuro del suo panettone, che comunque da quelle parti considerano un dolce abbastanza disgustoso.
CESENA: Bisoli ci mette il faccione, le esultanze sfiatate, la girandola di giocatori da serie B e finalmente l’attesissimo Carbonero, che al momento ha collezionato una serie di sgambettate pigre in mezzo al campo e un paio di decisioni scriteriate in area di rigore. La città ci mette l’Orogel Stadium, che dio abbia pietà di tutti loro. I tifosi sono contenti nonostante gli innumerevoli lanci lunghi, la guerra dei surgelati all’orizzonte e la retrocessione che si avvicina a ritmo di balera. Forse è tutta colpa dell’erba sintetica. In serie A Bisoli non ha mai sfiorato il panettone (esonerato nel 2010 a Cagliari e nel 2011 a Bologna). A meno di un tracollo nelle prossime quattro partite quest’anno dovrebbe farcela, e probabilmente è giusto così. Fa quello che può con quello che ha.
PARMA: In fondo alla classifica l’aria è pesantissima. Quasi soltanto anidride carbonica, di aliti pesanti e flatulenze. Nella città che fu di Crespo e Veron non si capisce più niente. C’è ancora qualcuno che non si è pacificamente rassegnato alla retrocessione? Donadoni guarda il panettone e non sa se lo mangerà. Non gli interessa. Gherardi guarda Donadoni che guarda il panettone e non ha nessuna voglia di muoversi dalla sua poltrona sfondata. Uno dei due avrà una mattinata isterica, tanto isterica da portare a qualcosa di tanto giusto e tanto inutile come un esonero o una lettera di dimissioni? Impossibile dirlo.
SASSUOLO: La stazione mediopadana è una fortezza di asfalto e piccole fabbriche, fra le cui mura si respira l’aria stagnante di una pianura insultata dalla montagna e dal mare. Ma lì ci sono i soldi, quindi le macchine, quindi la stazione e quindi l’attacco spumeggiante (sulla carta) del Sassuolo. Il centrocampo e la difesa sono un inno all’affidabile mediocrità, ma il tifoso è gasatissimo e pronto a portare allo stadio tutte le bestemmie contro il capo inghiottite ogni giorno al lavoro. Di Francesco sta facendo quello che deve fare, ovvero affidarsi a un ottimo portiere e sperare in qualche colpo risolutore in attacco. Per ora funziona, non troppo bene ma funziona. Un bel panettone in arrivo, e poi fuori di casa nella notte per sfogare le vergogne.
TORINO: “Ma perché hai venduto Cerci e Immobile?”. “Tranquillo, pensa al panettone. Nella scatola ci trovi anche un regalino”. “Ma come faccio con Barreto rotto nell’anima e Amauri che da quando ha preso la cittadinanza ha smesso di andare dal parrucchiere?”. “Tranquillo e pensa al panettone”. “Ma almeno mi compri Kutuzov? Gioca ancora Kutuzov?”. “Attento che il panettone non lo mangi”. “Punto tutto su Sanchez Miño”.
VERONA: Panettone indomito, panettone corazzato. Tachtsidis può diventare un campione, basta lasciargli il tempo. Luca Toni è una gigantesca marionetta che protegge la palla legato a fili invisibili persi nel cielo nuvoloso di Verona (Roma, Roma, Ribery amore mio). Mandorlini ha tempo e risorse per lavorare, e la sua squadra gira a dovere. Panettone assicurato più un uovo di pasqua Lindt con la sorpresa d’argento, edizione limitata a pallettoni.
Menzione speciale: NAPOLI. Può un presidente cacciare un allenatore terzo in classifica? Teoricamente no. Può un allenatore terzo in classifica dimettersi? Teoricamente no. Poi però capita di guardare la rosa del Napoli e di non capire per quale assurdo motivo non ci sia un centrocampista di livello. La Roma ha De Rossi, Pjanic e Strootman. La Juventus ha Vidal, Pogba e Marchisio. Per questo il Napoli non vincerà lo scudetto e rimarrà ancorato alle altre 17 squadre del campionato senza centrocampisti. Benitez ha chiesto un regista fino allo sfinimento, De Laurentiis è infastidito e si concentra su altri panettoni, cinematografici. Uno dei due potrebbe improvvisamente perdere la pazienza e regalarci l’unico esonero a sorpresa di questo debole autunno.
Nel frattempo resteremo a guardare, ricordando il tempo dei panettoni in fiamme di prima classe e ripetendo che oggi il panettone non è più lo stesso panettone. Nei magazzini polverosi delle società di calcio arrivano alla chetichella panettoni vecchi, riciclati, comprati in offerta al Lidl lo scorso febbraio. Qualcuno forse non lo mangerà, ma sarà più per sciarada che per speranza.