Chi lo sa se quelli della trattoria Garibaldi pensano mai al concetto di stato-nazione? Chi lo sa se si sono mai chiesti come si possa convivere con l’idea di nazionale in un comune toscano? Certo è che in Italia è proprio a causa di Garibaldi che lo Stato-nazionale è diventato realtà, e chi lo sa come l’avrebbe presa il povero Giuseppe se avesse saputo che, un giorno, una rappresentativa minuscola di quello stesso stato nazione si sarebbe resa artefice di un’impresa controversa. A vederlo da qua, a ripensarlo stanco e sottomesso consegnare i destini della nazione a Teano, si potrebbe immaginarlo andare su tutte le furie all’idea che tra lui e Vittorio Emanuele II si sarebbe potuta frapporre una repubblica di Cospaia qualunque.
Alla trattoria Garibaldi di San Giovanni Valdarno c’è sempre un tavolo per Alfredo Aglietti. Lui arriva, scosta la sedia e, senza bisogno d’ordinare, si vede arrivare un piatto di stufato alla sangiovannese con gli zolfini. La gente di San Giovanni gli fa tante domande, lui non risponde, ma a quelli che gli chiedono del Pontedera lui replica sempre allo stesso modo: “In matematica invertire l’ordine dei fattori dà prodotto sempre uguale, ma la matematica non è il calcio e noi col Pontedera non eravamo al Rose Bowl di Pasadena a giocarci la finale col Brasile”.
Alfredo Aglietti a San Giovanni c’è nato, qualcuno ancora gli rimprovera d’essere andato a giocare a Montevarchi, lui d’altronde c’era andato senza troppo entusiasmo e quando la domenica doveva calciare in porta si sentiva mancare le forze, si sentiva crollare come a spezzarsi in due, gambizzato dal peso di secoli di rivalità. In un anno e mezzo a Montevarchi aveva fatto appena due goal e aveva preso l’abitudine di non riagganciare la cornetta del telefono. La gente è strana, o almeno non è mai contenta di nulla, come fai sbagli e non sai mai se gli stessi che prima ti chiamavano per farti gli auguri di compleanno, o per chiederti di andare in Pratomagno, di punto in bianco iniziano a lamentarsi perché giochi a Montevarchi. Nelle sere di quegli anni, a Montevarchi, il telefono squillava in continuazione: qualcuno gli diceva “bravo hai fatto bene” altri gli dicevano “come puoi metterti addosso la maglia rossoblu?”. A Pontedera in C2, Aglietti ci passò nel settembre del 1993 e quel 6 aprile del 1994, il giorno in cui lui con la sua squadra sconfisse la nazionale di Sacchi per due a uno, il telefono di casa iniziò a squillare nuovamente: qualcuno gli diceva “bravo hai fatto bene” mentre altri continuavano a dirgli “…ma come hai potuto metterti addosso la maglia rossoblu?”.
Aglietti ha, ancora oggi, un’idiosincrasia per le telecomunicazioni. A lui le cose non piace dirle al telefono, ma è ovvio che quando si parla del 6 aprile tutto cambia. Il Pontedera era una squadra corta, organizzata. Francesco D’Arrigo, un mister sveglio ed estremamente informato, aveva una venerazione per Arrigo Sacchi e quando questi gli chiese di portare il Pontedera a Coverciano per l’amichevole nello stage pre-mondiale del 1994, lui, D’Arrigo, non aveva chiuso occhio tutta la notte per l’emozione. Mister D’Arrigo aveva preparato la partita nei minimi dettagli, s’era messo a scrivere alla lavagna quello che andava fatto per fare una figura dignitosa. Aveva disegnato schemi e linee difensive; a ogni revisione i suoi i reparti si accorciavano a tal punto da far sì che i difensori si incollassero agli attaccanti in mezzo al campo schiacciando i centrocampisti in un panino al lampredotto. D’Arrigo aveva il sogno di mettere in campo una sola linea di gioco in grado di interrompere ogni trama scaturita dal 4-4-2 di Sacchi. Un modulo in cui l’idea stessa di calcio si annullava in una specie di sospensione dal gioco, un’atarassia paradossale fatta di contrasti a centrocampo e asfissia della manovra avversaria.
Effettivamente quel giorno il Pontedera diede l’impressione di essere una squadra in grado di difendere meglio di Panucci, Baresi, Costacurta e Maldini. Nei primi quarantacinque minuti interruppe ogni tentativo di costruzione bassa degli avversari. Il pressing offensivo dei due attaccanti, Aglietti e Cecchini, mandò fuori giri le geometrie di Albertini e gli scarichi su Stroppa e Donadoni vennero regolarmente castrati sul nascere. Aglietti s’era scritto su di un braccio con una penna BIC “la fase difensiva inizia da me stesso” e per tutta la partita Cecchini aveva pressato tanto alto da provocare il mal di pancia a Baresi e Marchegiani. In generale tutta la linea di centrocampo era aggressiva, agile negli spostamenti laterali e decisa nei contrasti. Ogni pallone conteso finiva, in un modo o in un altro, tra i piedi dei toscani. D’Arrigo prendeva appunti in panchina: i suoi granata prendevano contatto con i portatori di palla della nazionale e per tutto il primo tempo quasi nessuna linea di passaggio uscì fuori senza essere sporcata dagli scarpini degli uomini del Pontedera. Qualcuno dice che D’Arrigo fosse appassionato di architettura militare – Aglietti ricorda di avergli sentito dire bene delle geometrie di Francesco di Giorgio Martini e delle merlature della sua Lucca.
Ma quel giorno il Pontedera non pensò solo alla fase difensiva. Il mister, prima di giocare, aveva sperato in qualche contropiede, ma sul campo ebbe l’intuizione di provare a trasformare la dinamicità dei suoi ragazzi in un tentativo di invasione dell’area avversaria. Gridava ai suoi di buttarsi negli spazi, di aggredire le fasce e così fecero. Matteo Rossi, al diciannovesimo, prese di contrattempo Paolo Maldini e con il destro saltò Marchegiani in uscita bassa.
Le cose andarono ancora meglio con Aglietti, il quale, abbassatosi per ricevere palla a metà campo eluse, in un colpo solo, la chiusura di Panucci e l’ostruzione di Conte che provava a chiudergli lo spazio di passaggio a centrocampo. Aglietti uscì vincitore dal contrasto e, seppur barcollando, scaricò palla sulla fascia sinistra per lanciarsi con il corpo e le sue ginocchia spigolose nello spazio. Il passaggio di ritorno del compagno arrivò nel bel mezzo dell’area di rigore. Marchegiani non effettuò una delle sue proverbiali uscite alte e Matteo Rossi schiacciò di testa colpendo il palo. Aglietti era lì, pronto a metterla alle spalle della rappresentativa della sua stessa nazione. Erano passati appena 22 minuti e il Pontedera era sul 2 a 0.
Nella ripresa Daniele Massaro entrò al posto di Signori e gli equilibri cambiarono notevolmente. L’attaccante brianzolo segnò il gol del definitivo 2-1 e colpì una traversa: allo scadere dei novanta minuti, tuttavia, il tabellino confermò il 2-1 in favore del Pontedera. Dopo il triplice fischio le squadre si trattennero un po’ sul rettangolo di gioco. D’Arrigo riuscì a bloccare Sacchi: i due parlarono di tattica e di come accorciare lo spazio tra la linea di difesa e quella d’attacco, si strinsero varie volte la mano, ma poi qualcuno urlò Montevarchi merda e Aglietti filò dritto negli spogliatoi. La gente non è mai contenta, pensò, come fai sbagli, anche quando batti la tua stessa nazionale, anche quando porti il “Pontedera ai Mondiali”.