Esiste un luogo. Un luogo dove Materazzi e Lucio possono ancora ritrovarsi in campo, strizzandosi l’occhio in ricordo dell’anno del triplete. Dove Anelka non è un disprezzato convertito cui non si perdonano quenelle e accento di periferia, bensì un venerabile allenatore-bomber con occhiali e aura alla Thuram. Dove Manuele Blasi può dialogare sullo stretto con Alessandro Potenza e sognare il suo secondo gol in carriera, in 447 partite, magari dedicandolo ai nostri due marò se il suo rigido contratto glielo permettesse. Dove Riise può sospendere il trattamento pensionistico maturato tra Roma e Liverpool e riprendere a rubare i segreti del maestro e pari ruolo Roberto Carlos, inchinandosi di fronte alla sua voglia di correre nonostante gli anni in Daghestan.
Quel luogo è la Indian Super League, Klondike del calcio mondiale, rifugio di cariatidi del vecchio continente e carneadi dell’Asia meridionale, affresco metafisico, sapiente mistura di antico e moderno. La superlega indiana si prepara all’esordio di sabato 3 ottobre dopo il successo della prima edizione. I vecchi elefanti si trascinano qui spinti dalla noia e dai soldi, lasciandosi sbranare gli ultimi brandelli di forma fisica ed esperienza da uno sciame di aspiranti professionisti locali che sognano le grandi ribalte europee, spinti dagli sponsor e dal miliardo abbondante di potenziali tifosi.
La formula del campionato è sostanzialmente la stessa dell’anno scorso (qui il nostro speciale). Otto squadre, due gironi di andata e ritorno per un totale di quattordici partite. Le prime quattro vanno alle semifinali dei playoff, andata e ritorno, poi la finale. Otto sono anche gli stadi, perlopiù strutture da cricket adattate alla bisogna, tre delle quali intitolate a Jawaharlal Nehru. E otto anche i Marquee Players, creature metà uomini immagine metà divinità, ingaggiati per il lustro, più che per il gioco, delle rispettive compagini: Elano (capocannoniere l’anno scorso), Roberto Carlos, Lúcio, Carlos Marchena, Nicolas Anelka, Simão Sabrosa, Adrian Mutu e Hélder Postiga. Quest’ultimo, ad appena 33 anni è il più giovani marquee della storia del campionato. E poi una valanga di indiani, sudamericani, africani, ma anche gregari e vecchie glorie d’Europa (gli stranieri sono dieci per squadra, marquee esclusi). In panchina siedono Zico, Lopez Habas, Anelka, Materazzi e Roberto Carlos. Ma non erano giocatori? Sì, ma anche allenatori, qua tutto è possibile.
La stagione finisce il 6 dicembre, poi spazio ai playoff, con la finale del 20 dicembre. L’anno scorso a Mumbai per il titolo si sfidarono Atletico de Kolkata e Kerala Blasters. Vinsero i primi, trascinati da Luis Garcia, rottamato per lasciare spazio al giovane Postiga. Ogni pronostico per quest’anno sarebbe assolutamente aleatorio. Insomma, gli indiani fanno sul serio e ci tengono a farlo sapere, basta vedere la campagna di promozione che hanno organizzato quest’anno. L’avvicinamento al campionato è stato cadenzato da mirabolanti slogan, grafiche accattivanti, annunci di nuovi calciatori reclutati per la causa, riepilogo dei loro pedigree e video messaggi di Pelé e Fernando Torres a sostegno del calcio indiano. I pochi articoli italiani facevano notare che la media spettatori del campionato indiano è stata più alta di quella dell’ultima Serie A. La lega di cricket è il secondo campionato più ricco del mondo dopo la Nba. L’India è un mercato emergente. Questi hanno i soldi. La più grande democrazia del mondo. Si, ma i marò?
La maschera, alla fine, è caduta pochi giorni fa, otto prima dell’inizio, quando la pagina Facebook della ISL si è lasciata scappare un esplicito “Only 8 days to go till India’s footballing extravaganza begins! “. Extravaganza. Quello che fino ad allora era stato presentato come il campionato emergente dello sport più diffuso al mondo tornava a essere una mascherata vacua tra paillettes, scenari esotici e vecchie celebrità.
E allora perché farsi male? Perché trascorrere notti insonni, con occhi brucianti, a seguire le dirette sul sito di Eurosport o su qualche sito streaming fraudolento per ammirare questo pantheon di divinità cadute ed esotici mercenari? Per chi venera il calcio come una creatura estinta ma ancora pulsante, per chi è troppo vecchio o demotivato per imparare i nomi dei nuovi calciatori, ma non si rassegna a vedere i suoi idoli scontrarsi con la nazionale cantanti, nelle partite d’addio, negli incontri a favore della lotta al fibroma cistico. Per loro nasce e muore l’Indian Super League. Perché Malouda imbecchi davvero Anelka nonostante la buona guardia di Riise. Perché Marchena neutralizzi un pur volenteroso Simão, dopo che la settimana prima era stato umiliato da Mutu. Perché Platt metta a frutto gli anni passati a studiare con Salvemini e il Trap coi tre punti in palio, coi playoff addirittura. Con l’ex di casa Alessandro Del Piero che commenta in inglese sulla tv via cavo. Tra ex eroi del cricket e idoli di Bollywood che li riempiono di ghirlande, tra la puzza irrespirabile dei gas di scarico e l’incredulità dell’alta borghesia di Mumbai che non conosce le regole dello sport del futuro. Gli eroi non sono morti. Gli eroi vivono, lunga vita agli eroi, non più giovani, non più belli.