Uno, ics, due

Uno, ics, due
2 Maggio 2016 Daniele Tiraferri

In Italia il 13 è convenzionalmente considerato un numero fortunato, una credenza controversa e non universalmente accettata in tutti i paesi del mondo. Nel mondo anglosassone, per esempio, il 13 è per antonomasia il numero più sfortunato, e basta entrare in un qualsiasi albergo degli Stati Uniti per accorgersi che il tredicesimo piano, semplicemente, non esiste. Tuttavia, se si approfondiscono i testi sui Tarocchi, la cabala e la numerologia, si può facilmente dedurre come il 13 sia sostanzialmente un numero positivo. La tredicesima carta dei tarocchi è la Morte, che come tutte le carte può avere un significato contemporaneamente positivo e negativo: significa cambiamento e rinascita, si deve morire per rinascere. Nella numerologia il 13 è il numero associato all’alchimista e prende il significato di trasformazione dalle forme logore in qualcosa di nuovo e diverso. 

Inoltre il numero 13, che nella sua riduzione teosofica diventa un quattro (1+3=4) ma in una “ottava” superiore, è l’antico numero della completezza, associato alla fine di un ciclo: ci sono tredici mesi lunari in un anno, tredici sono i segni nell’astrologia celtica e di quella dei nativi americani, mentre la nostra astrologia vede nello zodiaco tredici costellazioni. Le associazioni negative, invece, arrivano dalla tradizione cristiana: tredici erano i partecipanti dell’ultima cena del Cristo, l’inizio della Passione avvenne un 13 e il 13 ottobre 1307 è ricordato per la caduta dell’ordine dei Templari. Al di là di tutti queste valutazioni esoterico-religiose, nella cultura popolare italiana c’è un motivo ben più importante per associare il tredici a un evento positivo e portatore di buone nuove: il Totocalcio.

Nel 1946 Massimo Della Pergola era un trentenne giornalista triestino, espulso dall’ordine durante il fascismo perché ebreo e da poco uscito da un campo di internamento in Svizzera. Non voleva più fare il giornalista e soprattutto non riusciva a sopportare lo stato disastroso che attraversava lo sport italiano nel primissimo dopoguerra. In un’Italia allo sbando dove mancavano i soldi per i bisogni di prima necessità, lo Stato non poteva certo permettersi di finanziare lo sport. Campi, piste di atletica e palazzetti erano in macerie e la ricostruzione procedeva a rilento.
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E fu lì che Della Pergola ebbe la sua intuizione: un gioco a premi, dove ogni italiano potesse “scommettere” sul risultato delle partite del campionato di calcio versando un piccolo obolo. Se nessuno avesse indovinato la combinazione vincente, i soldi giocati sarebbero rimasti alla società fondata da Della Pergola, la SISAL, e rimessi in gioco nella giornata successiva. Ed ecco che un giornalista sfuggito alle leggi razziali, con 300.000 lire di capitale e la collaborazione di Fabio Jegher e Geo Molo, non due attori porno del tempo bensì soci fidati di Della Pergola, creò il gioco che ha alimentato i sogni di ricchezza degli italiani per i successivi sessant’anni.

1X2 da scegliere per 12 partite + 2 (divennero 13 solo qualche anno più tardi). Il gioco era veramente alla portata di tutti: dai soloni calciofili più accaniti alle casalinghe distratte che andavano a comprare le sigarette per i mariti. Il popolo di sognatori aveva trovato un altro ingrediente con cui insaporire il Fernet del sabato sera: la schedina. Il 5 maggio del 1946 da tutta Italia arrivarono le prime giocate, 5 lire ognuna e con un montepremi di circa 2.000.000 di lire. Altro che Piano Marshall. Quando Della Pergola lanciò il suo gioco, in pochi credevano che avrebbe potuto funzionare. Le case cadevano a pezzi, c’erano i fascisti a cui dare la caccia e uno stato da ricostruire. Eppure Della Pergola aveva capito in anticipo che agli italiani il calcio piaceva più di tutto: più della politica, più delle proprie vicende personali, più delle donne e più della ricostruzione di un paese nuovo. Della Pergola aveva scommesso tutto su quell’idea popolare tanto italiana di “svoltare” la propria esistenza grazie esclusivamente a una botta di culo.

Il Totocalcio era il gioco del popolo. Era il gioco di Emilio Biasotti, l’impiegato milanese che fu il primo vincitore, come era il gioco di un qualsiasi disoccupato genovese o della casalinga bolognese. Era anche il gioco del famoso vincitore e “artigiano del legno” Pietro Aleotti, che amava definirsi così per mascherare il suo lugubre lavoro di costruttore di bare. L’amore per la schedina crebbe a dismisura in un’Italia che non poteva permettersi sprechi, tant’è che quelle non vincenti venivano regalate ai barbieri per pulire i rasoi. Gli italiani giocavano e vincevano i milioni per uscire dalla miseria e dall’indigenza. Arricchendo così Della Pergola e i suoi soci.
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Fino a quando il Ministero decise di saltare sul carro del vincitore facendo accomodare a terra i tre cocchieri, prendendosi per se il giochino più redditizio mai inventato in Italia. Nel 1948 mister Totocalcio ebbe modo di scoprire anche un altro grande amore degli italiani oltre al calcio, le donne, la pizza e la mamma: l’esproprio per ragion di Stato. Della Pergola fu letteralmente scippato della sua invenzione dal Ministero dell’Interno che mise il cappello del CONI sulla schedina. Della Pergola e i suoi cavalieri del Totocalcio intentarono causa e richiesero un indennizzo, ma dopo enormi lungaggini giudiziarie persero e si dovettero accontentare dell’anonimo TOTIP come risarcimento. Purtroppo per loro il Totalizzatore Ippico non aveva lo stesso fascino del Totocalcio, e scommettere sulle corse dei cavalli aveva un sapore ormai stantio e un appeal squisitamente alto borghese.

Nonostante tutto, Della Pergola continuò a credere ancora nell’imprenditoria d’azzardo e rimase nella SISAL, almeno fino al 1954, quando l’abbandonò definitivamente per tornare ai suoi primi grandi amori: il giornalismo e l’ebraismo. Divenne Presidente della Federazione Italiana Maccabi e guidò, per gli anni a venire, la delegazione italiana alle cosiddette olimpiadi ebraiche, i World Maccabiah Games. Morì nel 2006 dopo aver affermato per più di mezzo secolo di aver creato un sistema perfetto per restare povero e fare arricchire gli altri. Prima di andarsene al creatore, ammise di non aver mai giocato una schedina in vita sua.